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Il viaggio è un restare ascoltando una chiamata. Lungo le parole del monaco tibetano che il dio del Sole sia con te - di Pierfranco Bruni





Il viaggio è un restare ascoltando una chiamata
Lungo le parole del monaco tibetano che il dio del Sole sia con te

di Pierfranco Bruni





Cammino con accanto un monaco tibetano. Mi ha legato al polso sinistro, tanti anni fa, il bracciale del deserto e della contemplazione nella pazienza.  I Simboli. La Illuminazione. Il Silenzio. La cultura tibetana è una cultura fatta di simboli, di segni e di immagini ma anche di tasselli che riportano nostalgie arcaiche. Dentro queste nostalgie si custodiscono segreti.
Forse i segreti di una vita o della vita. Vi si cammina dentro senza usare parole e senza servirsi di parole ma ponendosi continuamente in ascolto. È come se tutto fosse una traccia di una voce che giunge da lontano.
Il monaco mi ha sussurrato: "Non guardare mai la sabbia che hai lasciato dietro di te. I tuoi calzari sanno. Guarda sempre dove non vorresti".
Siamo fatti noi di lontananze e mai di distacchi, di separazioni e mai di addii. Perché in fondo ci ritroviamo nel cerchio magico dell'imprevisto, dell'imprevedibile, dell'inatteso. C'è, comunque, sempre un segnale che lascia l'indelebile magia dei sensi e del cuore. I sensi e il cuore.  Un intercalare di suoni che restano dentro il nostro tempo. Il tempo immenso dei ricordi e il tempo inciso nelle foglie.
Non sappiamo se siamo dentro un bosco o dentro un labirinto oppure dentro una foresta. Come facciamo ad uscir fuori da questi rovi che assillano il nostro essere in uno spazio non spazio o in un tempo metafisico che diventa sempre più circolare. Se non ci fosse la tradizione cosa resterebbe. Cosa sarebbe di noi senza la tradizione? La tradizione ci conduce alla memoria certamente ma ci offre lo spazio che ci accoglie dentro una dimensione che è onirica.
L'onirico è sempre un castello sul mare o una casetta dentro il bosco. Bosco o foresta fa lo stesso? Bisogna cercarsi dentro. Il sogno resta.
"Bisogna camminare nella direzione dei nostri sogni, altrimenti perdiamo l'incanto della vita. Non vi è strada che porti al successo come un chiaro proposito o una intuizione". Sono parole di Romano Battaglie  che mi giungono dal suo  libro dal titolo "Foglie" (Rizzoli).
Sono stato amico di Romano e il suo percorso esistenziale è sempre più un camminamento che non va alla ricerca ma resta in attesa. È il camminamento che lo cerca, lo incontra, forse lo sfida e il rischio non sta nelle parole ma nel sentire, o meglio nell'ascolto.
Questo andare nel bosco, (i chiari del bosco della Zambrano) questo decifrare le pieghe delle foglie, questo mettersi in contatto con la cultura tibetana non è una nuova pagina da scrivere.
È piuttosto una pagina già depositata nel proprio vissuto e il vissuto non sta nel passato (vorrei poter dire che il passato non esiste più nel momento cui il presente  si consuma nella irrefrenabile attese del dopo) ma è un intreccio di emozioni che dettano alla vita la speranza che a volte diventa decifrabile a volte si deposita nello sguardo a volte gioca con il quotidiano a volte ci inventa e inventa la vita stessa attraverso il miracoloso o la magia. La speranza o l'attesa della felicità?
Un interrogativo che depositiamo (o si deposita di per sé) fra gli intagli del misterioso che incanta. Mistero, incantesimo, miracolo. Tre tappe per un viaggiatore che non cerca ma resta in attesa di essere cercato. Ho raccontato questo viaggiare senza viaggio nel mio "Che il dio del Sole sia con te" (Pellegrini).
"Da giovani la felicità ci attende nell'imprevisto, da vecchi nelle abitudini. Nel resto della vita saremo felici non per quello che prenderemo, ma per quello che sapremo dare. La felicità infatti è l'unica ricchezza che tanto aumenta quanto più ne doniamo agli altri". Parole di Romano Battaglia.
Non ci si pone davanti alla domanda bella e drammatica: cosa è la felicità? O: perché cerchiamo la felicità? Ma ognuno di noi (io tu gli altri) si individua in una visione di felicità e anche per questo il viaggio non è un cercare ma un restare in attesa di essere chiamato. Nella meditazione. Nell'ascolto. Nel silenzio del bosco dove le foglie hanno la voce del destino.
Cosa potrà accadere? La scrittura ha un suo senso? Ma sì! La scrittura non aiuta ad avere un senso. È il senso. Ma la scrittura è anche quella che non conosce le parole ma solo sguardi, gesti, ancore. Forse tra i segreti impigliati nel gioco del colore delle foglie i segreti sono sogni.
Il monaco ha preso le mie mani e le ha strette alle sue. Poi mi ha sorriso.
Il sogno è il camminamento. Quel monaco tibetano che mi cammina accanto mi accompagna. È un guerriero. I guerrieri sono sempre impeccabili. Sembrano guardare il cielo come i danzatori Sufi. Ascoltano. Il monaco mi ha detto: Che il dio del Sole sia con te! E pregando ha aggiunto: Namasté!






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