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Dario Franceschini e Renzi tecnofobi?

Dario Franceschini, si sa, ministro ai beni culturali, per l'azione realpolitik di Matteo Renzi, ecco il giardino segreto di tante conversioni bersaniane in zona Cesarini. Nessun moralismo ci può stare nell'Italia in semidefault. Poi Renzi perchè no ha già innestato dinamismi inediti sia sul fronte nazionale che europeo, nonostante la spada di damocle di un PD stesso sempre sentinella silenziosa pronto alla resa dei conti (vedi Senato stesso ancora lì, non ancora rottamato). L'azione di governo, magari- riassumendo. non per colpa di Renzi. appare tuttavia assai lenta e il mondo, leggi italiani in default nella vita reale quotidiana, invece gira sempre più veloce.
Va da sè certe news passatiste riguardo le nuove tecnologie ecc.  non si spiegano se non come tecnofobia, ed è come ben spiegato da questo articolo de Il Giornale, un gravissimo gap strutturale. Da chi è consigliato Matteo Renzi? E il ferrarese rivela sinapsi appunto troppo ferraresi....   nota di AsinoRosso

IL GIORNALE
Questo non è un Paese per la tecnologia

Dal canone Rai per chi ha un pc all'equo compenso, passando per la banda larga e la scuola, ecco perché siamo il fanalino di coda per innovazione e alfabetizzazione digitale

- Ven, 27/06/2014 

Agenda digitale, rilancio dell'economia, investimenti per far ripartire le imprese, tante belle parole su banda larga e alfabetizzazione digitale. Parole, appunto.

Perché la realtà è un'altra: siamo il fanalino di coda per innovazione e uso della tecnologia.

A marzo il 34% degli italiani non aveva mai usato internet (contro l'8% del Regno unito). Ormai nel 95% del territorio è possibile connettersi a una velocità considerata sufficiente, ma appena la metà delle famiglie paga un abbonamento.

Certo, gli smartphone sono ormai diffusi, ma forse sono più uno status symbol che uno strumento utilizzato nelle sue piene potenzialità. E se questo non bastasse nella scelta della scuola gli istituti tecnici hanno ancora una pessima fama e sono considerati più un posto verso cui indirizzare i meno volenterosi che un volano per una nuova manodopera iperspecializzata che faccia da volano all'industria.

E in questo scenario - che per fortuna vede anche qualche piccolo polo di eccellenza - il governo che fa? Parla bene e razzola male. A parole mette l'agenda digitale al centro del proprio programma, promette semplificazione e meno scartoffie, ma "punisce" chi ha dispositivi tecnologici. Pensiamo al cosiddetto equo compenso: basta avere un qualsiasi supporto di memoria digitale per diventare dei pericolosi criminali pronti a piratare contenuti coperti da copyright. Sì, lo sappiamo: la norma parla di "copia privata", perfettamente legale se si è acquistato ad esempio l'ultimo album del nostro cantante preferito. Ma la tassa resta una sorta di pena preventiva per un reato che non è affatto detto che commetteremo. Lo dice pure il ministero in uno studio commissionato prima che Franceschini firmasse il decreto: solo 13 italiani su 100 preferiscono salvare su un secondo dispositivo libri, cd, dvd e quant'altro.

Ma in questo caso i consumatori non dovrebbero preoccuparsi più di tanto: con tutta probabilità l'aumento delle tariffe ricadrà sui produttori. Non tanto sui grandi - cosa vuoi che siano per Apple 4 euro a telefono - quanto sulle piccole imprese e sull'indotto per un totale di 157 milioni di euro all'anno rispetto ai 63 versati nel 2013 nelle casse della Siae. Quasi un quarto di quello raccolto nell'intera Europa (600 milioni), anche considerando che in alcuni Paesi le tariffe sono ben superiori.

E sempre sulla pelle delle imprese vuole far cassa pure la Rai. La loro colpa? Possedere un pc (ma trovateci un qualsiasi titolare di partita Iva che oggi non abbia almeno un computer intestato). Anche in questo caso si può parlare di "pena preventiva": solo per il fatto che il dispositivo può essere usato per trasmettere i programmi Rai, deve pagare il canone al pari, per intenderci, di bar e ristoranti che hanno in sala un televisore. Una mossa che un paio d'anni fa era stata tentata - e subito bloccata - anche per i privati.
E non dimentichiamo la famigerata Google Tax, che costringerebbe i colossi dell'informatica ad avere una partita Iva italiana e che con tutta probabilità limiterebbe gli investimenti nel nostro Paese.
Insomma, sembrerebbe che questo non sia affatto un Paese per la tecnologia. Del resto, ci ritroviamo come ministro della Cultura quel Dario Franceschini che al Ceo di Google che "bacchettava" l'Italia perché non spinge i ragazzi a studiare informatica e "non forma persone adatte al nuovo mondo" ha risposto: "In ogni Paese ci sono vocazioni_ magari un ragazzo italiano sa meno di informatica ma più di storia medievale e nel mondo questo può essere apprezzato. Un ragazzo italiano ad esempio potrà andare negli USA a insegnare storia medievale e uno americano potrà venire qui a insegnare informatica". E pensare che, come ricorda il giornalista Rai Michele Mezza nel suo "Avevamo la luna", tra il 1962 e il 1964 l'Italia aveva la possibilità di dettare legge nel mondo per quanto riguarda la tecnologia.


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