“L’identità del nemico”, Giuliano Compagno, Sandro Giovannini

Su "L'identità del nemico" (*) di Giuliano Compagno.

Ovvero sulle contingenze della "collaborazione"

di Sandro Giovannini



Un libro importante su Drieu, sia per la capacità penetrativa dello specifico autorale sia per l'approfondimento di molti dei parametri di contemporaneità. L'autore è ben conscio delle contingenze che determinano il giudizio in itinere e le investiga con ordinata diligenza, riguardo al soggetto ed alla contestualità specifica. Ma noi tutti sappiamo che se il giudizio storico avviene scontatamente a posteriori, e dipende necessariamente dall'intereresse dei vincitori di turno, al contrario, nel flusso storico reale, quello dell'accadimento, la potenzialità omnicomprensiva non autorizza il giudizio di valore. Nello scenario specifico, a fine campagna di Francia e prima della campagna di Russia e dell'intervento degli USA, la guerra in Europa sembrava finita, solo con relative - se pur gravi - pendenze, potenzialmente ben superabili. Quindi, in quel momento, a parte la legittimità più o meno discutibile del governo di Vichy, ogni intellettuale francese era costretto a prendere atto, sia pur contraddittoriamente e dolorosamente, della contingenza storica… Ed oltre ad un'immensa platea popolare sconcertata e delusa dalla vergognosa sconfitta, cartina di tornasole, per tutti, della pusillanimità roboante e cialtrona di quella democrazia, (ben simile alla nostra attuale…) cosa avrebbero dovuto fare o scrivere, poi, quegli intellettuali francesi, che negli anni precedenti si erano spesi duramente nella vasta e multiforme regione ideale che va dall'estrema destra al socialismo nazionale? Per loro, (ma non solo per loro, come poi ben sappiamo, che multiformi fenomenologie di sopravvivenza culturale sono state coperte da velami più o meno pietosamente sporchi) in realtà non erano praticabili - a parte qualche nobilmente santa ma limitata opzione, (penso a Saint-Ex) - che le scelte, poi ben complesse ed articolate che fecero... A meno che il giudizio di valore non sia determinato sul piano puramente ideologico, indifferentemente rispetto ai fatti (storici) più o meno verificati, a priori od a posteriori. Come allora, così adesso… Un introibo corretto od un tappo finale... Ambedue forme ingiustificate, rettoriche, umanamente ben comprensibili ma indegne di un vero pensiero, ben in linea con gli intellettuali conformisti che quasi sempre non sono quelli "impegnati" ma quelli "a servizio" od "a rimorchio". Anche per questo si determina, in presenza di una strisciante guerra civile ed intellettuale (alcune nazioni fortunatamente ne sono state sostanzialmente risparmiate) spesso, a crisi epocali concluse, (e questo illuminantemente è comprensibile solo tenendo conto della passionalità ideologica e dei risentimenti più viscerali e volgarmente utilizzabili) una penalizzazione, apparentemente incongrua e perversamente ottusa, più per i sinceri ed i responsabili, che invece per gli opportunisti o gli ondivaghi. Come giudicò drammaticamente, Jünger, proprio al proposito di Drieu… Gli avversari "a viso aperto", devono pagare visibilmente il conto della sconfitta. Invece tutta la pletora degli automarginalizzati, degli ambigui, degli spesso inaccettabilmente servili al potere di turno ma con accortezze mondane e coperture letterarie, il più delle volte, no. Anzi pronti quest'ultimi, ovviamente, a riciclarsi - arnesi pronti per tutte le stagioni - come protodissidenti od ur-critici. Infinite le fenomenologie tra gli smemorati ed i redenti, categorie ormai classiche, ben investigate in isolate e meritevoli indagini ma su cui si rilutta pervicacemente a soffermarsi, non per geremiadi inutili o disapprovazioni apocalittiche, ma per un corretta impostazione etico-filosofica del problema... Intere classi sociali... Intere consorterie… Questo solo restando correttamente all'interno della prospettiva etico-politica di Compagno. Noi invece siamo convinti che la figura di Drieu, come quella di tanti altri diversi e simili a lui, rappresenti il meglio che l'intellettualità fra le due guerre abbia potuto esprimere nella (ed a merito della...) complessità epocale, tramite il disagio personale, fra rappresentazione e realtà e persino nella divaricazione estrema tra impegno profuso e risultati raggiunti... (tutto, comunque, il più delle volte, responsabilizzato dalla testimonialità a fine corsa, testimonialità che ha pochi paragoni della stessa levatura esistenziale). Ultima brevissima osservazione, derivante dalla lettura di un testo come questo: è proprio importante investigare in profondità quel tempo (come ben sottolinea Compagno nella "Conclusione"... ma noi ne diamo una lettura diametralmente opposta) ed i suoi dilemmi intellettuali, perché quel tempo è molto più simile di quanto possa apparire, (e ciò vale non solo per gli intellettuali liberaldemocratici o radicalmarxisti, ma anche per gli anticonformisti-antagonisti di ben altre vocazioni e formazioni) al nostro tempo prossimo venturo, quale consegnatoci dal globalismo e dal pensiero unico... Cambiando tutto forse non è cambiato niente… Riguardo allo stile di risposta epocale... Ovviamente il nostro giudizio deriva conseguentemente dalla nostra visione del mondo, e di questo siamo pienamente e lucidamente consapevoli, ma cerchiamo di trarne sempre comunque motivi di riflessione prima di tutto per noi stessi e di ricerca - per tutti- (non arrendendoci alla rassegnata constatazione dell'impossibilità, oltre che dell'inutilità, del dialogo e del confronto studioso se non all'interno della medesima visione del mondo da tanti, ed in parte con persuasive ragioni, avanzata) e non solo di sconcerto, o di invalidazione.



(*) Giuliano Compagno, L'identità del nemico. Drieu La Rochelle e il pensiero della Collaborazione. Liguori Editore.