IL POETA
DEVOTO CHE CONFESSÒ IN EXTREMIS IL DUCE
Allievo di
Maurras, amico di D’Annunzio, Guénon e Mishima, folgorato da Padre
Pio. Pierre Pascal, un intellettuale inattuale
da
www.ilgiornale.it/ di lunedì
02/06/2014
Se
citi Pierre Pascal a un letterato o a un intellettuale, quasi
certamente non sa chi sia. Eppure Pascal, poeta sacro, scrittore
visionario e antimoderno, yamatologo e iranista, fu amico di Gabriele
d’Annunzio, con cui ebbe un fitto carteggio ancora inedito e di cui
curò alcuni scritti, fu discepolo di Charles Maurras, amico di René
Guénon e di Julius Evola, di cui fu pure traduttore, amico di
Mishima e di Montherlant, i due scrittori contro il loro tempo che si
tolsero la vita alle soglie degli anni Settanta, ai quali dedicò due
odi.
Nato
in Francia, vissuto da ragazzo in Giappone seguendo suo padre, grande
chimico, poi tornato a Parigi, fondatore di Eurydice,
rivista di poesia a cui collaborarono Paul Valéry e lo stesso
Maurras, combatté in Spagna con i nazionalisti, dove difese le
Carmelitane dall’assalto dei comunisti. A guerra finita fu
condannato a morte in contumacia in Francia e visse a Roma in
assoluta povertà. Incontrò tre volte Padre Pio il quale, pur non
conoscendolo, sapeva tutto di lui. Pascal notò nella penombra della
cella le stimmate che si facevano lucenti, «di quella luce
soprannaturale che prelude alla luce eterna nei corpi risorti e
gloriosi». Restò folgorato dal Frate di Pietrelcina come accadde a
un altro metafisico, sodale di Guénon e di Evola, Guido de Giorgio.
Su incarico di Mussolini, Pascal fu il curatore della Biblioteca del
Vittoriale di d’Annunzio durante la Repubblica di Salò e nel
frangente della guerra riordinò e salvò carte preziose. Pascal fu
l’ultimo scrittore straniero a incontrare Mussolini il lunedì di
Pasqua prima della sua uccisione. Su quell’incontro Pascal scrisse
un libro uscito e poi sparito nel dopoguerra, ripescato tramite
Roberto Melchionda da Sandro Giovannini e ora riproposto a cura di
Federico Prizzi, Mussolini
alla vigilia della sua morte e l’Europa
(Novantico, pagg. 173, euro 20).
Il
libro è presentato come testamento spirituale di Mussolini ma sul
piano della ricerca storica fornisce scarsi elementi. È il frutto di
un colloquio poetico con Mussolini a Villa Feltrinelli, a Gargnano,
dove Pascal fu accompagnato dal ministro della cultura, Fernando
Mezzasoma. Poco prima di incontrare il Duce, Pascal aveva tradotto in
Francia il libro di Mussolini dedicato alla morte di suo figlio,
Parlo
con Bruno.
Mussolini aveva letto, riletto e apprezzato la sua traduzione e la
poesia dedicata da Pascal al figlio. È un Mussolini spento quello
che incontra il poeta, anche se lampeggiano i suoi occhi; un Duce
lirico che descrive commosso i colori del lago di Garda, l’azzurro,
il rosso, le brume e parla di amore, di gloria e di morte. Più
magro, con occhi più grandi «ma più dolci e più familiari», un
volto dal color d’avorio che s’intrattiene in piena bufera a
parlare di storia e di letteratura e dice che l’Italia è stata
creata dalla poesia di Dante, dalla pittura e dall’arte che
«resterà la parola dell’Italia e la sua unità». A un tratto
però s’accende, tira fuori da uno scaffale una cartella ed estrae
la fotografia di una ragazza radiosa. Aveva diciott’anni, era
piemontese e ardente fascista. «Un giorno fu rapita - racconta
Mussolini a Pascal - e giudicata nel modo che voi potete immaginare,
e condannata a morte. Il giorno dell’esecuzione due volte gli
uomini del plotone rifiutarono di tirare. Ah, Pascal quanto è
potente la bellezza!». Poi il capo di queste «anime perse» la
uccide sparandole due pallottole nella testa. «E tutti i giorni è
così, sospira Mussolini, Tutti i giorni...».
Da
giovane Pascal aveva incontrato più volte Mussolini, in missione per
il governo francese. C’è perfino una foto che lo ritrae accanto al
Duce mentre arringa la folla a Piazza Venezia, unico straniero al suo
fianco. Come Ezra Pound, anche Pascal si innamorò dell’Italia
dantesca e fascista, a cui dedicò odi, i suoi Cantos.
Nel 1947 fu condannato a morte in Francia per «intelligenza con il
nemico», perché amico di Maurras, vicino all’Action
Française
e ammiratore di Mussolini, oltreché cultore dei Samurai. Un suo
libro autobiografico, In
morte di un samurai,
fu ripubblicato qualche anno fa dal Settimo Sigillo. Fu proprio il
libro-testamento di Mishima, Sole
e Acciaio,
che a diciott’anni mi fece conoscere Pascal che ne aveva curato
l’introduzione. Poi lo ritrovai come biografo e traduttore di Evola
a cui dedicò una ikebana, Lux
evoliana.
Pascal fu indirizzato da giovane a Evola da René Guénon che gli
consigliò la lettura di alcuni suoi libri. Pascal ventenne
frequentava con Pierre Noël la casa parigina di Guénon, con cui
ebbe poi un ricco epistolario. Ma a un certo punto il grande
metafisico ed esoterista abbandonò Parigi e si ritirò in Egitto
assumendo un nome islamico e finendo la propria vita al Cairo.
Privati della loro stella polare, i giovani parigini come Pascal,
ondeggianti tra Oriente e Cristianesimo nel segno della Tradizione,
si rivolsero allora ad Evola.
Pascal
non cessò di essere cattolico. Devoto a Santa Teresa d’Avila e
alla Madonna di Fatima, criticò duramente il Concilio Vaticano II.
Prese a frequentare Evola fino ai suoi ultimi giorni, abitando a
poche centinaia di metri dalla sua casa; fu suo il resoconto della
cremazione e della dispersione nelle Alpi delle ceneri evoliane. In
una lettera a Renato Del Ponte, racconta che Evola amava parlare con
lui «di cose intangibili». Poco prima che Evola morisse, Pascal va
a trovarlo e così scrive: «Egli aspetta la morte. Tuttavia l’ho
trovato con un bel viso raggiante, lo sguardo vivace, la loquela
chiara e la mente maliziosa». Pierre Pascal fu cancelliere
dell’ambasciata imperiale dell’Iran presso la Santa Sede e
tradusse le opere di grandi poeti persiani, oltre che testi
buddhisti. Morì a ottantuno anni a Roma, nel 1990, e fu sepolto al
Verano nella cappella dei Caetani Lovatelli. Sulla sua lapide è
scritto: «Poeta e scrittore in esilio». Belle testimonianze su di
lui scrissero Giovanni Artieri, lo stesso Del Ponte e Gabriella
Chioma, Aldo La Fata e Silvano Panunzio. Anche a lui si ispirò il
gruppo di poeti del Vertex.
Quando
scrisse del suo ultimo incontro con Mussolini nell’Albergo
dell’Altra Vita, come chiamò Villa Feltrinelli con i suoi abitanti
destinati alla morte, Pascal ricordò di Mussolini l’ultimo sorriso
e «il suo sguardo obliquo dardeggiante su di noi». Pascal rispose
con un sorriso e un mezzo inchino, nutrendo il netto presagio che
sarebbe sparito per sempre. Pascal, nota Prizzi, si sentì come
Rutilio Namaziano, «cantore di un mondo in rovina che stava
scomparendo». Convinto, come disse a Mussolini, che la Poesia fosse
una cosa più seria della storia. Perciò poi visse al riparo dai
tempi, cercando la via dell’eternità.