Emilio Diedo
Reale
apparente. Giochi d'esistenza
Prefazione
di Paolo Vanelli
Preambolo di
Emilio Diedo
Disegno di
copertina di Carla Sautto Malfatto (Le vie
dell’acqua) sdoppiato ad hoc
Coproduzione Este
Edition e L’AlianteLeone–Scrittori Riuniti, Ferrara 2014, pp. 96,
€ 8,00
Un castello
da fiaba, sospeso tra le nuvole e il mare. Due mani dischiudono le
tende di un sipario, il cui drappeggio si trasforma, per incanto, in
tronco d'albero, cornice artistica della natura. Poi la tela si
capovolge, muta magicamente la prospettiva. Così nella tela di “Le
vie dell'acqua” di Carla Sautto Malfatto, immagine “sdoppiata”
e scelta per la copertina del nuovo libro di poesie di Emilio Diedo,
Reale apparente. Giochi d'esistenza, Este
Edition 2013.
Il titolo
illumina: “reale” e “apparente” sono le due facce della
stessa medaglia, sfumate da un labile confine. Nel titolo è sottesa
infatti l'ambiguità, il dilemma tra il visibile e l'immaginato, tra
l'oggetto e il ‘miraggio’.
Il sottotitolo poi offre una chiave fondamentale: l'autore ci porge
Giochi, di parole, di
suoni e di immagini. Ma si tratta di giochi seri, che riguardano
l'esistere.
Il primo
componimento s'intitola proprio “Giochi”:
Gioco
cogli occhi ad arte
cogliendo
i colori fasulli
disegnando
(è nel sogno
mischia
le carte un'idea)
nella
libidine di un verso
bimbo
– né mai crescerà
[…]
sto
in un uscio metafisico
di
radiosi castelli di fiaba.
Paolo
Vanelli nella sua prefazione descrive Diedo come “un poeta che
sperimenta, con esiti assai pregevoli, nuove formule poetiche e nuove
strategie operative, ben consapevole del fatto che la poesia, per
essere efficace e rispondere al sentimento del tempo, deve suggerire
un'idea e farsi struttura compositiva capace di metterci a portata di
mano un inedito accadere”.
Reale
apparente è nel contempo lo studio di nuove
strade formali, come dichiara
l'autore nel suo “libro-manifesto”, “preambolo per una presunta
NUOVA
METRICA”.
“Un nuovo
parametro – s’interroga Emilio Diedo –, magari non troppo
elastico per dirsi canone, può essere utile? […] la mia idea in
materia tenderebbe ad una soluzione metrica (o, diciamolo pure,
parametrica) in una
misura molto soft […]. Non sarebbe altro che una regola meno
tiranna”. Diedo è alla ricerca di una soluzione originale: “La
si potrebbe citare quale 'metrica figurativa', 'visiva' o altrimenti
'iconica'. O, ancora, ‘metrica spaziale'. “La molteplicità delle
soluzioni estetiche che tale sorta di concetto metrico supporterebbe,
al limite, potrebbe essere suscettibile di palesarne, per la forma
visiva impressa sul foglio, altrettante geometrie, tali da tentare di
forzarne una sostituzione definitoria della sostanziale finalità
storica, giungendo a coniarne, eventualmente, una geo-metrica”.
Così l'autore nel suo “manifesto” presenta la complessità del
suo studio, che Vanelli ha accostato alla pittura di Kandinsky,
“dove le macchie di colore e le geometrie che occupano lo spazio si
accompagnano a segni lineari, filiformi, che sono indicazioni di
possibili moti e di dinamismi spaziali. Tutto il disegno cioè allude
a un movimento spaziale che, come disse il pittore, si trasforma in
un 'campo di forze'”. In maniera che l'ordine stravolto cercchi un
nuovo ordine.
Tra
allitterazioni, anastrofi, anagrammi il significante puro si afferma
con il suo ritmo e le sue sonorità che smontano e ricompongono
parole e significati. Vedasi ad esempio “Altalenante”: “Altalena
eterna lenta altalena/ una nenia di inedia”.
Nel verso
c'è il gioco delle parole che si contengono l'una nell'altra,
s'inghiottono tra loro, come in “Scomodi modi”: “Scomodi modi
che l'uomo,/ modificandoli all'esigenza,/ vicendevolmente s'impone”.
I suoni
consonantici e vocalici si rincorrono, specularmente, in un
equilibrio di riflessi: “Kosmos/Osmosi”, “Aperta la porta”,
“Odiati diavoli”.
Altrove “le
virgole son angeli custodi”, in una corrispondenza tra segni
convenzionali e universo.
La poesia di
Diedo talora si fa labirintica, quasi spigolosa nelle sua
“geometrica” che si nutre di termini poetici e di immagini
retoriche sofisticate (“Così io disperso nei sogni/ del cosmo mi
sono perso,/ ma m'attraversa lo spirito”, in “Disperso/ perso/
m'attraversa”).
Il poeta
utilizza le parole come veicoli liquidi, inseguendo la profondità
dei significati, alla ricerca della purezza primigenia. Di
un'infanzia serena della vita, di qualche verità che illumini
l'ipocrisia, la presunzione. La voce del poeta anela ad una
“Cromatica realtà di fiaba/ stagionale, annuale dono/ per grazia
divina, goduta./ Altro gradito eden di vita”. Aspira ad un “volo”
– altra parola imprescindibile nella silloge – che sovente è
tarpato sul nascere, scoraggiato dalle circostanze, come si legge in
“Anime”:
Anime
menomate d'ali, l'aria
che
vibra, ci circonda ci libra
ugualmente
nella libera salita
che ci
conduce innanzi a Dio,
aquiloni
in fuga oltre l'essere,
frenati
dal filo ancorato all'io.
Troverà la
parola una via d'uscita dal labirinto? Scoperchierà il cielo,
zigzagando tra le vie di terra? Sembra quasi che il poeta, nel
componimento “Nei versi trasparenti, niente”, voglia fermarsi di
fronte a un vicolo chiuso (“Io sto qui a scriver per niente./ Ed
hai voglia di edificare strofe/ quando i versi disegnano icone/ d'un
niente, zero”). Ma è più forte l'aspirazione alla “luce”,
alla scintilla creativa. Così Emilio Diedo si avventura per strade
inedite, inesplorate, con ironia, studio, divertissement.
Il gioco resta
fondamentale indizio interpretativo, con la sua connotazione di gioco
adulto, consapevole: ”Domani dovrò tornare ai ludi duri/ domani io
rigiocherò con la divisa,/ domani io tornerò a essere il soldato”.
Il cerchio
si compie e la fine coincide con l'inizio. Non a caso l'ultimo
componimento s’intitola “Gioco col cosmo”:
Gioco
con il cosmo
ascoltando
gli echi.
Percorsi
tra parole,
nuovi
suoni e voci,
son i
miei balocchi.
Le parole, i
“nuovi suoni” e le “voci” di chi scrive sono “balocchi”.
Proprio come Le vie dell'acqua
raffigurate in copertina: vie mutevoli, effimere, sorprendenti,
libere, giocose; ed appartengono all'acqua, elemento primario. Fonte
di vita.
Perché
il senso della ricerca di Emilio Diedo forse è esattamente questo –
come ha osservato infine Vanelli –: “restituire alla poesia il
suo compito di farsi farina della vita”.
Eleonora
Rossi