Riccardo Campa: Socialismo e Futurismo *da Fondazione Nenni


Il segretario del PSI Riccardo Nencini, dovendo spiegare che l’ “Avanti!” – il vero “Avanti!” – non è quello che ha diretto recentemente Lavitola, ma quello della secolare storia socialista, ha fatto l’esempio che meno mi aspettavo, ma che più mi è risultato gradito. Nencini non si è limitato a ricordare le tante battaglie sociali, in difesa dei lavoratori, portate avanti nel Novecento, ma ha anche rivendicato il ruolo culturale della testata nella promozione del futurismo. Essendomi occupato spesso di letteratura futurista negli ultimi vent’anni, per contribuire tra l’altro a confutare la sovrapposizione stereotipata di futurismo e fascismo che domina ancora tra i poco informati, non posso che compiacermi per questo riferimento.
Riporto le parole del segretario, pronunciate il 5 dicembre scorso durante una videointervista rilasciata a Marco Bracconi su Repubblica TV: «L’ “Avanti!” è stato molte cose, non solo per il PSI. L’ “Avanti!” è stato il primo e unico giornale che, nella prima parte del Novecento, ha rappresentato la sinistra italiana. L’ “Avanti!” è stato la chioccia del futurismo italiano. I Balla, i Sironi, erano critici artistici dell’ “Avanti!”, e con loro molti che hanno fatto la storia, la bella storia civile e libera dell’Italia nel primo e nel secondo Novecento».
Non sono parole buttate lì, per dire qualcosa, come spesso fanno i politici nei salotti televisivi. Nencini è uno storico e sa di cosa parla. L’idea fondamentale che ha guidato sin dalle origini la sinistra è che non si può fare una seria battaglia politica, senza fare anche una battaglia culturale. Quest’idea sembra oggi scomparsa dall’orizzonte. Oggi trionfa il modello della politica di consumo, all’americana, incentrata sulle questioni amministrative, comunicata in messaggi di un minuto e trenta secondi, che riducono inevitabilmente a slogan ogni ragionamento. Ma i primi socialisti, e in particolare Antonio Gramsci (membro del partito dal 1913 e co-editore dell’edizione piemontese dell’ “Avanti!” dal 1916), sapevano bene che per trasformare il movimento operaio in un soggetto storico, e non meramente co-storico, dovevano innanzitutto preparare il terreno sul piano culturale. Non era (e non è) possibile cambiare un Paese, se non diventa egemonica l’idea che il cambiamento è possibile e desiderabile. La spontanea collaborazione di socialisti e futuristi nell’Italia della Belle Époque non può dunque stupire, se si considera che nel campo della cultura il Futurismo ha rappresentato il cambiamento, più di ogni altro movimento.
Di questo si era accorto in primis proprio Gramsci. Ma lo stesso Marinetti guardava inizialmente a sinistra. Non senza una certa dose di ironia, aveva dedicato il suo Re Baldoria «Ai grandi cuochi della felicità universale: Filippo Turati, Enrico Ferri e Arturo Labriola». E aveva chiuso il cerchio definendo il futurismo «l’estrema sinistra della letteratura». Del resto, anche Georges Sorel auspicava una convergenza tra socialisti e futuristi. In una lettera ad Agostino Lanzillo del 17 novembre 1914 (Cfr. Annali della Fondazione Micheletti, 1993-1994, p. 215), Sorel scriveva: «“La Voce” annuncia la pubblicazione prossima di un giornale in cui Mussolini avrà con sé Papini, Prezzolini, Salvemini, e perché no Marinetti? Mi auguro che conosceremo le bellezze del socialismo “futurista”; sarà, in ogni caso, un socialismo “rumorista”». Infatti, proprio quell’anno, Pietro Nenni, Sergio Panunzio e diversi esponenti del movimento futurista accettarono di collaborare al neo-fondato “Popolo d’Italia”.
Certamente, il rapporto tra socialisti e futuristi fu anche conflittuale. Sappiamo che Filippo Tommaso Marinetti era un fautore del patriottismo rivoluzionario e che al marxismo-leninismo preferiva di gran lunga il “socialismo mazziniano”, geneticamente riconducibile al socialismo utopico. E sappiamo anche che, dopo qualche titubanza, durante il Ventennio, Marinetti deciderà di restare nell’orbita del fascismo-regime, in virtù della personale amicizia che lo legava a Mussolini. Tuttavia, tra fascismo e futurismo c’erano differenze essenziali, che vennero puntualmente rilevate da Prezzolini nel 1923.
‑­L’ambiguità dei rapporti tra futurismo e socialismo era dovuta anche al polimorfismo di quest’ultimo. Nei primi decenni del Novecento, nel movimento socialista erano presenti diverse tendenze ideologiche, una delle quali – quella massimalista – avrebbe poi portato alla scissione di Livorno del 1921 e alla fondazione del Partito Comunista d’Italia. Da un lato, Marinetti non amava il tatticismo dei socialisti riformisti, che avevano rinunciato all’idea stessa di rivoluzione, oltre che all’irredentismo garibaldino. Dall’altro, il capo del futurismo aborriva l’anti-patriottismo dei comunisti, che pareva volessero fare dell’Italia una provincia della Russia. I futuristi sognavano una rivoluzione sociale, ma di marca patriottica. Si avvicinarono perciò a Mussolini che, col programma di San Sepolcro, sembrava indicare proprio questa prospettiva, per poi allontanarsene subito, quando fu chiaro che i fascisti erano intenzionati a stringere un patto di ferro con la Monarchia e il Vaticano. Che rivoluzione politica e culturale poteva essere, se non si rovesciavano il Trono e l’Altare?
Marinetti era troppo fuori dagli schemi per essere capito dalle masse. Citeremo a proposito solo un episodio. Il 15 aprile 1919, guidava – rivoltella alla mano – futuristi, fascisti e arditi in un’azione volta a disperdere una dimostrazione socialista. Aveva organizzato la contro-manifestazione in contrasto con Mussolini, il quale considerava l’azione prematura. Che però i futuristi fossero, in qualche modo, pesci fuor d’acqua in quella contrapposizione netta tra “rossi” e “neri” emerge dai tanti curiosi episodi che caratterizzarono lo scontro di piazza. Mentre arditi e fascisti picchiavano i lavoratori senza remore e si avviavano a dare fuoco alla redazione dell’ “Avanti!”, Marinetti si frapponeva in continuazione tra gli squadristi e i manifestanti disarmati, al fine di proteggere questi ultimi. Per fare capire qual’era la sua posizione, afferrò un giovane socialista per il bavero e gli urlo: «Grida Viva Serrati! Non Viva Lenin!», lasciando attoniti tanto i socialisti quanto i fascisti. Serrati era infatti il direttore dell’ “Avanti!”. Era come dire: il problema non è che sono socialisti, ma che sono filo-sovietici. Ovvero, si faccia pure la rivoluzione socialista, ma che sia una rivoluzione italiana.
Venendo al presente, mi pare che – per le posizioni sulla laicità, sulla bioetica, sulle biotecnologie, sui costumi sessuali, sulla libertà di ricerca scientifica, sullo sviluppo tecnologico, sull’industria nazionale, ecc. – i socialisti di oggi siano ancora piuttosto in sintonia con lo spirito futurista del primo Novecento. Perlomeno, lo sono più di altre forze politiche che al futurismo sembrano ora richiamarsi più o meno esplicitamente (come «Futuro e libertà per l’Italia» che ha per organo ufficiale «Il Futurista» o «Italia futura» di Montezemolo). Forze che evocano il futuro, per poi collocarsi nel centro moderato e conservatore. Certo, per rivendicare a pieno titolo l’attitudine futurista, servirebbe un po’ più di verve e radicalità anche a sinistra. Magari con un Gramsci o un Nenni in più nel Pantheon, e con un Papa Giovanni o un Cardinal Martini in meno.
Riccardo Campa

http://fondazionenenni.wordpress.com/2012/12/11/socialismo-e-futurismo/