Raimondo Galante La Società della Rappresentazione secondo Debord * recensione di Emilio Diedo

 

Raimondo Galante, quarantunenne, veneziano di nascita e ferrarese d’adozione, può tranquillamente essere definito “filosofo” non solo perché abbia conseguito una laurea in Filosofia ma anche, e più di tutto, per il fatto che filosofo lo è dentro di sé, mentalmente ed oserei dire somaticamente. La filosofia è in lui un fattore innato, connaturato alla sua essenza d’essere umano. Il suo modus vivendi non può che essere quello dell’uomo (molto prima dell’analitico studioso) alla ricerca di se stesso e delle affinità col prossimo, di quei sensibili legami tra l’uno e gli altri, insomma delle cogenti contingenze che implicano vicendevole ed amichevole rapporto sociale.

La sua ottima ed esaustiva tesi sulla società della rappresentazione secondo Debord, che egli ha discettato per il conseguimento della laurea nell’ateneo ferrarese nel luglio del 2000, gli è stata subito pubblicata (nel gennaio successivo), confluendo in questo ben fatto libro. Globalmente, sia per i qualitativi contenuti e la relativa organizzazione del contesto letterario che per l’impaginazione ed il complessivo editing, è stata senz’altro offerta al pubblico un’ottima produzione.

L’opera è stata presentata di recente (lo scorso 16 ottobre 2012), a cura del Gruppo Scrittori Ferraresi, relatrice la stessa presidente Gianna Vancini, nella Sala dell’Arengo presso il municipio di Ferrara. Le apprezzabili performance sia dell’autore del libro (molto appassionata ed appassionante) sia della relatrice (obiettiva ed impeccabile) sono state registrate su Dvd.

Debuttando dalle basi teoretiche, prettamente situazioniste, di Guy Ernest Debord (Parigi, 28.12.1931 † Bellevue la Montagne, 30.11.1994, giustappunto fondatore delle due Internazionali, Lettrista e Situazionista), rilevate, ed in linea di massima criticamente condivise, dalla sua eccellente pubblicazione intitolata Società dello Spettacolo, del 1967, Raimondo Galante indaga «sulla società tecnologica di massa che contraddistingue il nostro tempo […] servendosi degli strumenti interpretativi e delle riflessioni prodotte soprattutto nel corso del Novecento da artisti, filosofi, sociologi che hanno avuto […] a cuore la comprensione della struttura e delle evoluzioni della società occidentale», cfr. p. 8.

La base nello studio del tema è la palese falsificazione scaturente dalle riflessioni sui testi, oltreché del Debord, appunto, dei filosofi della c.d. Scuola di Francoforte. Fondatore di detta Scuola fu Max Horkheimer (cfr. Teoria critica della Società). Ne fecero parte Fromm, Marcuse, per un certo periodo Adorno. Ma soprattutto Walter Benjamin, considerato da Galante (io sono in perfetta sintonia con lui) «collaboratore d’eccezione», p. 9. E, va aggiunto, la «matrice culturale che accomuna […] questi autori [è] la riflessione economico-sociale marxiana unita alla ricerca estetica mirata ad individuare una funzione sociale per l’arte», in ibidem. Dando preponderante risalto, per quel che concerne l’arte, ad una cultura d’avanguardia, e, circa la teoretica, ad un revisionato marxismo. È perciò evidente come anche Karl Marx sia ripetutamente citato, da Debord ed, inevitabilmente, da Galante.

Quanto all’arte è preso in minuziosa considerazione “il dominio della Tecnica”. Con riferimento alla teoretica invece è studiata la dinamica de “l’economia del libero mercato”, in funzione della prima, ossia dell’arte.

Va da sé che la dottrina debordiana sia orientata sullo ‘spettacolo’: lo si deduce dal già citato titolo della sua principale pubblicazione (Società dello Spettacolo). Ma la finalità ultima tanto di Debord quanto di Galante è «far affiorare dalle ceneri dell’arte e quindi della cultura tradizionale una nuova percezione estetica del mondo» in maniera tale che un’«opera d’arte non [sia] più dominio esclusivo dell’artista, ma un prodotto della tecnica moderna che diviene l’unico valore socialmente riconosciuto», in ibidem, p. 11. Non a caso il precetto filosofico del Debord intende un pensiero che «non realizza la filosofia, filosofizza la realtà. È la vita concreta di tutti degradata in universo speculativo», cfr. citazione di Galante in ibidem, p. 7.

Raimondo Galante quindi, in forza del dettato di Debord, evidenzia come l’arte, allargandosi al concetto-prototipo di Spettacolo, subisca un’ideologica metamorfosi, assurgendo esso da semplice ‘momento d’individuale, estroso nonché poietico svago’ a ‘contemporaneità “storica” di costruttivo sviluppo’ del tutto accomunabile al fattore economico-finanziario soggetto a quelle stesse leggi del Capitale teorizzate da Marx, capaci di creare “plusvalore” per l’utenza e, di riflesso, per l’intera società. Che, per giunta, portano ad alienare il singolo, che si vede uniformare ad un’unisona Società, padrona e sovrana. Con la conseguenza che «la trasformazione dell’opera d’arte in prodotto industriale è l’effetto della sua riproducibilità tecnica. [A rappresentarne] una preistoria tecnica che ne stravolge il modo di fruizione da parte dello spettatore, che diviene il vero protagonista, e soprattutto la priva della sua aura ovvero l’hic e il nunc dell’artista, che perde la sua ragion d’essere e non si distingue più dalla massa di spettatori che contempla la sua opera», ibidem, p. 22, introduzione – § lo spettacolo e il primitivismo tecnologico.

Nel presupposto dello Spettacolo sta «il nuovo linguaggio di cui si avvale il potere per manifestare la sua presenza e la sua forza; è quindi la forma più matura e raffinata di manifestazione del potere», in ibidem, p. 15.

A supportare perentoriamente la tenuta d’un siffatto presupposto sarebbero due elementi: “il continuo rinnovamento tecnologico” e “la fusione economico-statale insita nella globalizzazione dell’economia”. I quali elementi convivrebbero con altri tre fondamentali fattori: “il segreto generalizzato, ovvero il dominio politico della segretezza”; “il falso indiscutibile e la forma della comunicazione nei media” (ed ecco il richiamo a quella fondamentale falsificazione che costituisce il pilastro reggente l’intera teoria della società della rappresentazione); ed infine il mistificante binomio “eterno presente e perdita della memoria storica”, che in sé consacra la falsificazione stessa.

Le dichiarazioni di Debord e le analisi che le sostengono s’estendono prevalentemente sui parametri del movimento futurista che in quell’epoca sembrava prepotentemente imporsi come sorgente di cultura ed arte, influenti appunto nelle istituzioni e, prim’ancora, nella politica. Di fatto Debord ne analizza ogni sussistenza ed inferente conseguenza, prendendo aire dal Dadaismo e transitando, poi, per il Surrealismo.

Per quanto Galante, autore di questa profondissima ed accurata tesi, paia in definitiva condividere la suesposta analisi debordiana, purtuttavia ne mette sottilmente in luce fin dall’inizio i limiti, marcando essenzialmente il passo sull’ambiguo approccio che intercorre tra l’imposizione del duplice fattore artistico-tecnologico e la supposta proletarizzazione del mondo (introduzione – § l’ambigua strategia dell’Internazionale situazionista contro la proletarizzazione del mondo).

Non vada omesso, in ultima, che l’esaminanda tesi è scritta con la convinzione che solo il vero filosofo sa avere, per argomentazioni e per pertinenti richiami alle filosofie di tutte le epoche. A conferma di quanto su Raimondo Galante s’era scritto fin dall’inizio circa il suo istintivo, notevole bagaglio filosofico.

*EMILIO DIEDO  *DA LITERARY MAGAZINE-PADOVA