Sandro Giovannini La doppia sublime anima di Ezra Pound

L'Interminabile stesura dei trenta canti iniziali, epica ricostruita di vite metamorfiche, di principeschi furori, d’umanesimi da biblioteca è una presa d’atto costante e crescente dell’inferno presente e del purgatorio sperabile, è una sorta di continuo viaggio per mare con puntate sulla terra interna, che sia la Rimini di Sigismundo con il grande Tempio, (“…la facciata del Tempio a Rimini…”  C. LXXX) o la biblioteca di Novello Malatesta a Cesena o la Siena delle grandi riforme leopoldine, degli antiusurocratici Paschi e della vivaldiana renaissance della Chigiana, o la Mantova estense “nec spe nec metu”, e che ricorda, del grande Rutilio, l’infinita e dolorosa risalita agli inferi barbari, la vorticosa progressione attraverso le rovine della grandezza dell’ecumene romano, che, non a caso, Pound traduce in una lingua inglese più prossima al latino delle infinite versioni italiane passate e contemporanee…  Sempre con la città di Dioce sullo sfondo, quella mitica dalle sette mura, distrutta ed “…ora nella mente imperitura… …Fianco a fianco sui colli, / gli occhi della dea volti al mare, / Sotto il Circeo a Terracina, occhi di pietra / bianchi su mare…”. (LXXIV)  Come Ezra avrebbe voluto; la statua di Venere, a Terracina, da rimettersi sul piedistallo… di fronte al mare.  Con i suoi occhi di marmo, chiusi/aperti, che vedono la liquida distesa infinita…  O davanti al mare di laguna, sotto la Punta della Dogana, con la bella statua rotante della Fortuna di Bernardo Falcone, che si erge ritta, con un piede s’una palla d’oro… “…un reale porto di mare” come dice H. James, e come ripete Pound.  Sul mare deve dominare l’occhio del Dio… dove invece sulla terra l’uomo deve riprendere il controllo delle cose, con la misura, la saggezza, la sobrietà.  Ma anche con la forza, contro le forze scatenate dal denaro.  “…Pace, per terminare il mio poema…”, ma, pace, significa ritornare a controllare con ragione i dati, le misure, le forme, contro la furia ferina dell’interesse prevaricante, della negata partecipazione, dell’esclusione.  Lo stesso Malatesta creato da Pound “…è più vicino ad un rivoluzionario sansepolcrista che vuol rompere con l’equivoco della memoria (e per questo fa abbattere l’abside della vecchia chiesa di San Francesco con gli affreschi di Giotto o della sua scuola per far posto ad una concezione nuova) ed esorcizzare i fantasmi della crisi liberale e dell’Ottocento, lanciandosi in un bivio d’avventura.  La latinità come risorgimento, il governo artistico per uno stato inventivo utopico e totalitario, lo stato-fanciullo, in rivolta contro la concatenatissima relazione tra plutocrazia e stato. Ecco cosa significa Malatesta infine: riappropriarsi dell’operare umano, rimettere in moto la veggenza nella storia, ritentare l’ignoto – secondo l’indicazione fornita da D’Annunzio e collaudata da Pound fino dai primi anni Dieci, non c’è epoché insomma per questo Pound, né tanto meno olimpico apathéin, ma un rimettere in opera la propria vita fattivamente, dopo che lo stato di anestesia e di ottundimento spirituale ha raggiunto l’imo mentale e consumato le maschere dello scetticismo…”. (2)  Una forma dell’anima presiede all’intuizione partecipativa… non siamo dei numeri, siamo nei numeri, ci serviamo dei numeri, essa partecipa di due sistemi metafisici, essa vive di due spinte centrifughe, essa è la chiave di volta (e di svolta) fra due scelte, simbolo polisemico ma evidentissimo, incardinando ed imponendo la risultante.  Quel sistema fugale… quell’arte della fuga, ove al tema musicale primario, in un organico dialogare, rispondono i controsoggetti, veri, problematici, da amare e conquistare, non finte ipostasi, non uomini di cartapesta, non consumatori usa-e-getta, ed ove gli uomini sensati convengono, de litteris et de armis,  E se non ce l’avesse svelato, così, un poeta… l’avremmo mai capito?  Con tale penetrazione, limpidità, passione?

 

 

Poi, nella quinta decade, non vengono più indicate stesure, siamo al centro del poema, dove avrebbe potuto iniziare il limbo purgatoriale, purificativo, attraverso il parlar disteso e chiaro, l’esame fermo e la ricognizione del male e i dieci Cantos sono le riforme leopoldine, gli Adams Cantos, l’insuperabile XLV.  La pietra squadrata e liscia, che non vacilla.  Omero per la Grecia, Confucio per la Cina, Dante per l’Italia.  L’essenza.  Ma assieme a questi giganti, mille altri, che sono amici veri, autentici aiuti per il mondo intero e per l’uomo lasciato solo o che viene costretto a combattere da solo.  Viaggio, con infiniti rimandi ma senza facili ritorni, per mari e per monti, mossi, difficili, aspri, ove le pianure sono solo attraversate per istinto di documentazione, per necessità umana, per dovere familiare. 

 

Dai due canti italiani, ultimo grido di una maturata giovinezza ancora inesausta, protratta oltre ogni umana speranza, di una volontà gettata nelle braccia della determinazione.  “…Già vecchio il mio corpo, Tomaso…” (LXXII) , pur se quel corpo si vorrebbe ancora offrire a garanzia di corpi giovani o timidi od incerti che si celano… agli altri od a sé… o si nascondono… e così ci costringe a: sovra-voler produce sovra-effetto”…  e…  sotto le interminate bombe, il sepolcro di Gemisto, sargofago spezzato di Pletone, la splendente Ixotta e la Placidia fine, svegliate dalle loro tombe.  E i cavalcanti non i postiglioni.  Ma altre ragazze ed altri ragazzi… e che giovani!...  (LXXIII)

 

E, qui, dopo un accorato slancio, dove poteva iniziare a vedersi il paradiso, si va, invece, oltrepassando ormai il Lete, a quell’inferno vero: la gabbia, la tenda, la follia…  Ove, però, la più bloccata, la più minerale, la più acuminata limatura del ferro, può ancora, polvere secca, inutile e sprezzata, - suggestionata dal magnete - liberare la rosa… “…La rosa nella polvere d’acciaio…”, (C. LXXIV) l’insopprimibile forma, l’immortale concetto, la tensione giusta.   Perché qui doveva venire il paradiso… e giunge invece l’inferno, come un’imboscata…  ma Ezra sa sorridere… persino ai due ceffi che lo spingono via, due ex fascisti di cui, uno, dopo, persino fucilato…  Usura.  Fra Kung ed Eleusi, dentro una gabbia di ferro, la ragione vacilla.  Ma non la nostra verità.  La ragione non può sempre corrispondere ai fatti, invece la nostra verità più profonda (Ou Tis, Nessuno, LXXX,  Ou tis  àkronos,  “…Tutti, ognuno secondo il suo temperamento…” XIII),  può ricostruirsi un percorso, un processo verso l’honestum, ove la realtà dell’io annichilita, se è spezzata per troppa generosità, trova nel mondo minimo, minerale, biologico, attorniato dai cachinni e dalle urla, il sole implacabile che muove lo scarabeo, “…quando la mente s’appiglia a un filo d’erba / la zampa d’una formica può salvarti…”, il grillino verde smeraldo a cui manca la zampina destra, o l’odore d’eucalipto ed erba marina, la lucertola, l’odore di menta sotto i lembi della tenda (LXXIV) e il sorriso meravigliosamente imprevedibile del mondo intero, colto senza prudenza… come l’assetato beve dal palmo della mano… sua ed  altrui.  “…Il saggio trae gaudio dall’acqua…”. (LXXXIII)  La pioggia fa parte del processo, come il vento.  Anche la pioggia sorella…(LXXIV).  L’acqua dal palmo della mano, ma la luce, ora tagliente/accecante ora diffusa/palpitante, dalla filosofia di Scoto Eriugena, venuto dal mare d’Irlanda, mezzo eretico in quanto mezzo platonico…  “…ciascuno nel nome del suo dio…”. (LXXIV)  In coitu inluminatio…  Ora, Deista, vuole dire: osservanza senza confessione, precisione senza letteralismo, struttura senza sovrastrutture.  Il tradizionalista conservatore è il ribelle innovatore..  e tutti e due devono passare (assieme) sotto il giogo di Coltano.  Nella gabbia da fiere.  Il quia impossibile, diviene un fatto, ma allora, giunto all’estremo, diviene paradossalmente reversibile (“…ciò che abbandoni non è la via…”).  Come per noi, ora, tutti… esposti ad una follia del sospeso senza fine e tutti ansiosi ormai di quest’arresto, ma anche consapevoli della nostra storia, di quanto si è fatto, di quanto noi si é. 

 

Dall’inquietante scultura di Epstein si deduce cosa si debba perforare di roccia dentro la struttura minerale dell’uomo.  Quali e quante incrostazioni.  Dominante è il susseguirsi degli ideogrammi cinesi, come cippi su una via che diviene quasi inesplicabile se non si conosce la storia ed il pensiero di quella grande, aliena, civiltà.  Il primo e più grande ideogramma è Ling, ch’è una sorta d’eupheméin, ma tutto interno, tutto risolto in sé per la sua naturale proiezione…  bontà irradiante, composto da: cielo, nuvole, tre gocce di pioggia e danza propiziatoria, tutti segnacoli ancora in parte riconoscibili, persino ad uno sguardo occidentale.  Dal cielo piove acqua su danzatori… danzatori festeggiano l’acqua dal cielo.  Magnanimità, diffusione, riconoscimento.  Dare/ricevere.  Una legge senza tempo, degna, se c’è rispetto, se c’è corrispondenza, se c’è partecipazione.  Ad esempio i principi fondamentali confuciani e le virtù cardinali occidentali, sono segni ermeneuticamente diversi, ma materialmente assimilabili.  Per questo può annettersi la storia universale alla storia europea, e viceversa, anche se gli accostamenti sono audaci, e finché si rimanga sul piano, problematicamente icastico, del sovrasensibile.  Lentamente, dopo lo schianto dei Pisani, ritorna il metodo di un processo ininterrotto, “…non un non-uomo, caro Estlin, ma ogni-uomo…”, (LXXXVIII)  questa la chiave.  Anche noi - senza pre/giudizi - potremmo capirlo: Non-uomo, è o può divenire, tutto; sottouomo, superuomo, cyborg, etc… Invece, ogni-uomo, è o può divenire, solo chi, per dirlo poeticamente, non proietta troppa ombra sulla terra, o, per dirlo più semplicemente, chi si fa onesto, cercando di superarsi solo onestamente.  Nel tagliare il manico dell’accetta, il modello non sta lontano.  La parola si spegne nell’ovvietà mistica della cosa.  Della cosa da fare.  Del cuore da mutare.  Della nostra vita da riprendere tra le nostre mani. 

 

Oramai non sono che stesure e frammenti, il ‘tutto da dire’ si è già svolto ai nostri occhi e solo l’ordine immateriale ritorna con…  Nettuno  la sua mente guizza  come delfini  (3) e c’induce a rivedere…  a guardare dentro, a non tirare oltre…  noi che osserviamo mille cose e non sappiamo più seguire il filo d’oro in quella trama attorta, nella texture liquida e sconnessa dei nostri giorni… 

 

Ma per gettare un ponte tra i nostri mondi di senso dobbiamo essere  attenti al respiro della farfalla, e quindi non possiamo confonderci con simboli cartacei, con paradisi di pietra, con illusioni di plastica, con quadri crostolosi ed esclusivamente formali, con mere ragioni geopolitiche o geostrategiche, di natura discutibili e di necessità cangianti, ma dentro ed oltre tutto questo, dobbiamo interrogare dal nostro orgoglio e dalla nostra purezza originari cosa ancora ci possono donare di coraggio, di speranza, di grandezza.

 

 

Note:

1) Cantos, CXVI, ed, in corsivo, citazioni continue da tutti i Cantos, (numeri romani in parentesi).

Il filo d’oro ed il ramo d’oro sono due dei mitologhemi vicini alla sensibilità di Pound. (Iliade, VIII, 19: “…una corda d’oro, facendo pendere giù dal cielo…”.)  Indicativo che il filo d’oro nella trama, faccia diretto ed esplicito riferimento alla texture, ch’è nodo di incroci. La connessione inevidente è superiore all’evidente”, dice Eraclito e questa  inevidenza  è l’occultarsi naturale (e non artificiale) della verità-necessità.  Così nel nodo (al di là del suo asse), nel gomitolo (al di là dell’intreccio di assi), nel labirinto (al di là del dedalo), troviamo l’inversione dialettica e il possibile luogo e tempo di risoluzione ed, in essi, d’evidenza.  Evidenza=visione.  L’anima sarebbe un tessuto con tale texture. “…L’ordito e la trama, decreto del cielo…” (C. LXXX)

“…C’è, ad esempio, una parte urbana di Rapallo di solito trascurata dal turista.  Uno dei suoi luoghi suggestivi è quello citato da Ezra Pound nell’ultima pagina dei Cantos e riguarda Vico dell’Oro (una traversa di Via Mazzini).  Egli, molto probabilmente, vide in questo nome un segno, un simbolo, quello che i provenzali chiamavano un segnal, il segno del vicolo oscuro che porta alla luce.” Massimo Bacigalupo; 1945/200. La cultura in Liguria, Accademia Ligure di Scienze e Lettere, 2002.

 “…Scende dal treno. Come trova Calle Q.252?...”  Mary de Rachewiltz, Discrezioni, Rusconi, 1973, pag.178.

2) Cfr.: Luca Cesari, nota, pag.118, in: E. Pound, Carte italiane, a cura di L. Cesari, Archinto.

3) Kung ed Eleusi, Iside e Kuanon, (e tante altre divine ipostasi) non sono giustapposti e neanche fusi.  Sono solo letti uno dentro l’altro, nello specchio dell’altro, anche - a volte - nel senso della loro necessità antitetica (vedi in: B. de Rachewiltz, L’elemento magico in E. Pound, All’insegna del Pesce d’Oro, 1965, pag. 27).  Il canto inizia immerso nelle acque, piene di dei, della vita e della morte “…con l’oceano in moto contrario…” e si chiude con l’approdo, l’incontro, all’isola dei Re