Alberto Ferretti Ex DC, Terzo Polo e l’ attrazione fatale a sinistra.

Il primo a portare il Cristianesimo Democratico nell’agone politico italiano fu don Luigi Sturzo, che fondò il Partito Popolare Italiano nel 1919. Esso si diffuse principalmente grazie alla larga diffusione dell’Azione Cattolica. Sturzo spiegò così la nascita “laica” del suo partito (fatto di cattolici, ma non cattolico): "È superfluo dire perché non ci siamo chiamati partito cattolico. I due termini sono antitetici; il cattolicismo è universalità; il partito è politica, è divisione. Fin dall'inizio abbiamo escluso che la nostra insegna politica fosse la religione, e abbiamo voluto chiaramente metterci sul terreno specifico di un partito…” (I° Congresso del PPI, 1919). Il PPI, dopo le elezioni del ‘24 e l’affermazione del Fascismo si schierò immediatamente con l’opposizione (nonostante l’aperta contrarietà delle gerarchie ecclesiastiche) e passò in seguito all’Aventino.
Dalle ceneri del PPI, sciolto nel 1926, e alla ricostituzione del quale si oppose in primis Papa Pio XII, nacque, nel 1942, la Democrazia Cristiana di Alcide De Gasperi. Con la DC iniziava il cosiddetto Centrismo, cioè un sistema di alleanze tra la Democrazia Cristiana, il Partito Socialdemocratico Italiano (PSDI), il Partito Repubblicano Italiano (PRI), il Partito Liberale Italiano (PLI), si trattò fin da subito di una coalizione ad excludendum, che fu applicata fino all'inizio degli anni sessanta a comunisti, socialisti e missini, e successivamente limitata ai soli comunisti e missini. Fu l’affermazione del famoso arco costituzionale. In seguito, con Aldo Moro, la DC iniziò a “guardare” apertamente a sinistra, il tentativo venne definito “Compromesso storico”, ma la sua iniziativa terminò con la sua stessa vita per mezzo delle Brigate Rosse.
L’apertura completa al mondo e all’ideologia marxista avverrà comunque, attraverso Giuseppe Dossetti e il Cattocomunismo, un termine che definisce l'insieme di quei pensatori, religiosi e politici che, pur essendo di dichiarata fede cattolica, optarono per una scelta politica e programmatica vicina alle posizioni comuniste, accettando - senza tuttavia aderirvi completamente - gran parte del pensiero marxista. La cosiddetta “Scuola di Bologna” fece da capofila, e fu la più attiva, fino a sfociare alla fondazione del partito della Margherita, la quale confluì, dopo tangentopoli, nell’attuale Partito Democratico assieme agli ex PCI. L’attrazione fatale a sinistra raggiungeva così la sua prima meta storica.  Alcuni esponenti di spicco di questa corrente sono: Romano Prodi, Rosy Bindi, Franco Marini e Dario Franceschini.
E’ sintomatico il fatto che uno dei primi a comprendere l'utilità dei cattolici nelle file delle formazioni comuniste, e a decretarne ufficialmente il suicidio, fu proprio uno dei fondatori del PCI: Antonio Gramsci. Nel 1919, infatti, Gramsci scrisse: "Il cattolicesimo democratico fa quello che il socialismo non potrebbe fare: amalgama, ordina, vivifica e si suicida... Non vorranno più Pastori per autorità, ma comprenderanno di muoversi per impulso proprio: uomini che spezzano gli idoli, che decapitano Dio" (A. Gramsci: Ordine Nuovo 1919-20, Cap. 86 pag. 273). È davvero impressionante constatare come Gramsci avesse già descritto in maniera precisa il profilo dei "Cattolici adulti" - alla Prodi per intenderci, come lui stesso si autodefinisce - e come ne avesse ben profetizzato la fine.
La vera chiave di volta per il progressismo cattolico sarà però rappresentata dal Concilio Vaticano II. La corrente progressista definita anche neomodernista, infatti, si diede parecchio da fare all’epoca del Concilio, il quale, nato come Concilio Pastorale con l’intenzione di Giovanni XXIII di aprire la Chiesa al mondo e alla modernità, fu strumentalizzato ad arte, e per mezzo del famoso “Spirito del Concilio” ma soprattutto del periodo del post-concilio,  venne frequentemente distorto sia nei contenuti che nelle finalità. Tanto che il Papa successivo dovette chiudere i lavori conciliari in fretta e furia, ed in seguito dichiarò: «Il fumo di Satana è entrato nel tempio di Dio... Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio» (Paolo VI, 1972). L’ermeneutica della continuità delle tesi conciliari con la teologia del magistero perenne venne avversata sia dai conservatori che dai progressisti, in quanto ognuna delle due fazioni lo interpretava invece come se fosse la nascita di una nuova Chiesa, in contrapposizione ed in rottura con quella di sempre.
Anche ai giorni nostri, proprio mentre il pontificato di Benedetto XVI sta riconducendo la Chiesa dentro l’alveo della tradizione – vedasi ad esempio la reintroduzione del rito tridentino in latino, che fu la prima vittima del post-concilio - alcuni tra gli esponenti principali del progressismo cattolico, che annovera, ad esempio, l’Azione Cattolica, la Caritas, la Comunità di Sant’Egidio, Famiglia Cristiana, più svariati e sedicenti “teologi” ma anche alcuni Vescovi e qualche Cardinale, sono particolarmente attivi. Tanto attivi da indurre J. Ratzinger, all’epoca Cardinale, all’incontro con i vescovi cileni nel 1988, a parlare di “un isolamento oscuro del Vaticano II” e ad affermare: “Alcune descrizioni suscitano l'impressione che dopo il Vaticano II tutto sia diventato diverso e che tutto ciò che è venuto prima non potesse essere più considerato o potesse esserlo soltanto alla luce del Vaticano II. Il Vaticano II non viene trattato come una parte della complessiva tradizione vivente della Chiesa, ma come un inizio totalmente nuovo. Sebbene non abbia emanato alcun dogma e abbia voluto considerarsi più modestamente al rango di Concilio pastorale, alcuni lo rappresentano come se fosse per così dire il superdogma, che rende tutto il resto irrilevante”.
Adesso, dopo aver ripercorso, seppure a grandi linee, la storia del Cristianesimo Democratico e progressista italiano, e che abbiamo gli elementi per una cognizione più approfondita del tema, possiamo meglio comprendere quale sarà l’ineluttabile approdo di Casini, di Rutelli, di Fini e del Terzo Polo: l’alleanza strutturale con la sinistra. I presupposti ci sono tutti: il marchio di fabbrica (il peccato originale) degli ex DC-UDC; l’appartenenza a tutti gli effetti alla sinistra degli aderenti all’API; e le posizioni del FLI, che coincidono gioco forza con quelle del loro capo, Gianfranco Fini. Tutto questo assommato, si rifletterà naturalmente sulle istanze politiche del terzo polo (il Partito della Nazione) che convergerà necessariamente con quelle del PD, che già da tempo, attraverso il proprio segretario Bersani  gli strizza l’occhio (i soliti bene informati dicono che l’accordo sia già stato concordato da tempo). La politica sinistro-terzopolista prediligerà quindi i diritti individuali, quelli della persona, a discapito di quelli della famiglia e della società, come il riconoscimento delle coppie di fatto etero e omosessuali, la costrizione al silenzio di chi dissente accusandolo di omofobia, il paradigma della parità fra uomo e donna, all’approvazione del divorzio breve, il mantenimento dell’attuale legge 194 sull’aborto senza alcuna modifica, l’approvazione di leggi sulla fecondazione eterologa e sul testamento biologico, e poi, naturalmente, la cittadinanza breve e il voto sprint per gli immigrati, l’esaltazione del modello multietnico e multiculturale. I modelli culturali di riferimento di quest’area politica sono quello francese, con il laicismo positivo alla Sarkozy e quello della Spagna di Zapatero, decisamente più anticlericale ed anticattolica. Se tanto ci da tanto è così che si andrà a chiudere il cerchio.
Alberto Ferretti
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