Emilio Diedo L'ARGINE DEI SILENZI recensione

Edoardo Penoncini

L’argine dei silenzi

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Prefazione di Zena Roncada

Este Edition, Ferrara 2010, pp. 80, € 10,00

 

 

 

L’argine dei silenzi, seconda silloge poetica di Edoardo Penoncini: praticamente undici anni e tre mesi (gennaio 1998-aprile 2009) di pensieri, riflessioni, impressioni ed, in definitiva, d’estetici giochi mentali. È, questa, una composita raccolta in versi liberi (tranne l’unico sonetto di p. 19: “Luce di carnevale”) ma a strofe armoniche, quando queste ci siano, perché talora il corpo è monostico. Ma, sia nell’una ipotesi che nell’altra, si tratta d’una struttura breve, che, nella ricorrenza strofica, varia dai tre ai cinque versi, e, quando invece la performance sta nell’univocità del corpo poetico, il computo dei versi al massimo arriva a tredici/quattordici. Paradigmatica, in quanto icastica, è la composizione incipitaria della seconda parte, “Quasi un mottetto”, a p. 25.   

 

   L’insieme del libro è sequenziato in quattro indicative, nonché allegoriche sezioni: “Argini” (diciassette poesie); “Silenzi” (ventisette); “Risvolti” (venticinque); “Amore e Psiche” (quindici). Il totale delle poesie è, come si può agevolmente constatare, ottantaquattro. Un numero maggiore delle pagine complessive del libro, che di utili ai fini dell’impegno dei vari componimenti, se ne possono contare sessantuno. Ciò per dire che, evidentemente, nella singola pagina spesso sono collocate due poesie.

   L’argine, preso nella sua poliedrica caratura semantica e poietica, sembra essere, qui, nel contesto in disamina, il vero artefice del modus poetandi dell’autore. Dall’argine l’origine del poetare – mai abbinamento paronomastico (‘argine-origine’) m’è venuto così spontaneamente simbiotico in un rilievo critico. Dall’argine ne emerge, poi, una media res, quel senso più lato (che cattura gli elementi immediatamente circostanti nonché tutti i fattori ed i fatti contingenti che s’intromettano) che dà voce alla consequenziale ispirazione a descrivere sì la concomitante Natura, ma altresì ogni possibile, persino semplicemente potenziale coinvolgimento che avvinghia la cogenza della stessa natura all’essenza umana. Tant’è che, almeno le prime tre sezioni (“Argini”, “Silenzi”, “Risvolti”) sono poeticamente esplicative dell’imminenza della più avvertita presenza della natura; laddove “Amore e Psiche” realizzano il quid finale che alimenta invece, nella specifica casistica della vicenda umana amorosa, il momento poetico successivo, estrapolato al senso bucolico ed all’allegorico significato che la natura in sé, ed in via primaria, suggerisce.

   Già “Risvolti”, che precede l’ultima mediata fase, implica un luogo mentale di piena coscienza, che permette al Poeta d’essere esteta delle sue meditate conclusioni esistenziali, bene o male fondate sui presupposti della natura, com’è stato posto in evidenza.

   E se, continuando a ritroso, “Silenzi” esprime il mezzo spazio-temporale ottimale per concepire vera poesia, percorrendo sentieri interiori piuttosto che realistici, “Argini” denota tutta la forza descrittiva (che è notevole!) d’un Poeta innamorato del suo incorrotto habitat, al quale riconosce ruolo d’attiva compartecipazione all’esistenza terrena.

 

EMILIO DIEDO