Intervista a Guido Mattioni, giornalista e scrittore postdigitale

D-  Mattioni, dal giornalismo alla letteratura grazie al web?
R- Direi che la risposta più completa, e di conseguenza più corretta possa essere: "ANCHE grazie al web". Nel senso che sì, è vero: le nuove tecnologie, alla fine del 2011, quando smisi di fare l'inviato speciale e mi trovai tra le mani, finito, il manoscritto del mio primo romanzo (perdipiù in due lingue, italiano e inglese) mi offrirono uno strumento operativo che prima non esisteva. Uno strumento che tutto sommato si rivelò utilizzabile anche da un quasi sessantenne com'ero io all'epoca, ovvero non propriamente un giovane geek dell'informatica. Infine, perdipiù, scoprii che era uno strumento totalmente gratuito. L'ANCHE che ho messo nella premessa fa riferimento invece all'altro elemento che ha influito molto sulla riuscita di quel progetto editoriale: ovvero la mia testa dura, friulanamente dura. Per nascita, insomma, ma anche per quel che mi hanno insegnato 35 anni di carriera giornalistica di alto livello e più in generale la vita, io sono uno che non si arrende mai, uno che se si mette una cosa in testa, quella cosa prima o poi la raggiunge. Così, il mio Ascoltavo le maree (in inglese Whispering Tides) diventò allora un doppio ebook che realizzai dalla mia scrivania di casa utilizzando una piattaforma che opera dalla Silicon Valley, quella di Smashwords, oggi il più grande distributore al mondo di ebook.
D- Ma perché il web, perché l'ebook, perché no un grande editore tradizionale? In fondo, con il suo curriculum…
R - Il perché bisognerebbe chiederlo ai grandi editori tradizionali, appunto, ma sono forse troppo impegnati a pubblicare libri più o meno "scritti" - le virgolette sono d'obbligo - da cabarettisti, calciatori, cantanti, autori di trasmissioni televisive, figlie e figli di Pinco o di Pallo e via elencando. Che cosa se ne fanno, loro, di uno che per una vita non ha fatto altro che scrivere professionalmente, di uno che fu assunto ancora ragazzino da Indro Montanelli, di uno che a trent'anni era già inviato speciale per un grande settimanale come Epoca? Ma questa è acqua passata. Sta di fatto che il primo anno il mio ebook in inglese fu finalista in due premi negli Stati Uniti (con giurie anonime e voti segreti, mica pastette tipo lo Strega) dove ero il solo italiano a concorrere su complessivi duemila autori di 16 Paesi del mondo; che l'anno successivo vinse la sezione Multicultural Fiction di uno degli stessi due premi; ma soprattutto che nella sua versione italiana, sempre nel 2012, fu adottato come testo di studio e di esercitazione nei corsi di Italiano della Georgia State University di Atlanta. Poi, l'editore tradizionale è arrivato: Francesco Bogliari, uno che ha masticato pane ed editoria come manager nei maggiori gruppi, ha notato questi risultati sui social network e mi ha chiamato. Una settimana dopo firmavo il contratto e nel marzo 2013 Ascoltavo le maree è approdato anche in versione cartacea in tutte le maggiori librerie italiane con il neonato marchio Ink (il gruppo editoriale di Bogliari, piccolo ma altamente professionale e raffinato, ha altri due marchi, Metamorfosi e Mind): a dicembre dello stesso anno abbiamo stampato la quarta edizione, il che non è male per un piccolo gruppo e con una crisi del settore come quella attuale.
 
D - Mattioni,  l'ultimo romanzo, uno zoom sul libro?
R - Anche questo, Soltanto il cielo non ha confini (sempre per i tipi di Ink), così come il primo, ha una ambientazione americana. Ma se Ascoltavo le maree è un romanzo intimista, in parte autobiografico, il secondo nasce invece dal Guido Mattioni ex inviato. Si tratta di una fiction, di una storia inventata da me, ma collocata su uno scenario che conobbi tanti anni fa, addirittura nel 1986, sul confine duro e pericoloso tra Messico e Stati Uniti, lungo il corso del Rio Grande, lì dove si fronteggiano due città diversissime come la chicana Ciudad Juarez e la texana El Paso. Lì, in quel punto dove l'acqua del fiume è poco profonda, c'è una delle porte di servizio più frequentate verso la ricca America, quella da dove passano di nascosto, clandestinamente, migliaia di disperati in arrivo da tutta la parte meridionale del continente. Allora in Italia non sapevamo nemmeno che cosa volesse dire "immigrazione clandestina" e io ebbi l'opportunità di battere quel confine insieme alle pattuglie del Border Patrol, osservando anche nel buio, negli occhi, quei poveracci grazie ai visori notturni a infrarossi. Poi molti di loro, catturati dagli agenti, li potei guardare da vicino e… beh quegli sguardi non li potrò mai dimenticare. Allora capii cose che la politica non capirà mai fino a quando non andrà a verificare sul campo, come può fare un giornalista. Poi, quando uno ha visto può decidere che posizione prendere, ma bisogna sempre prima conoscere, per poi deliberare. Altrimenti è solo ideologia, o ancora peggio: il fottuto gioco delle parti, la grande commedia per catturare voti a destra o a sinistra.
 
D- Mattioni, in Italia editoria in crisi, in Usa dal libro digitale il futuro?
R - In profonda crisi, preciserei, pur se il problema è generalizzato anche altrove. Se scarseggiano i soldi per mangiare è ovvio che tanta gente sia costretta a rinunciare ai beni non essenziali. Ma vorrei dire che la crisi editoriale ha anche - di nuovo un ANCHE - altre ragioni: troppi titoli spazzatura; troppi autori inventati e imposti a colpi di marketing soltanto per via della loro notorietà non-letteraria, dato che è meno faticoso e costoso vendere quelli a un grande pubblico di bocca buona piuttosto che fare l'antico e meritorio lavoro di scouting dei talenti autentici da proporre poi ai lettori di qualità; diffuso ricorso a un editing quasi di default, caratterizzato da un voluto e criminale ipoverimento dell'Italiano usato, con conseguente abolizione della punteggiatura, del fraseggio colto, delle subordinate, per non parlare dei congiuntivi… Devo continuare? Quindi rispondo: certo, anche nel digitale, specie se autoprodotto, c'è tanta fuffa, tanta robaccia mal scritta, ma poi la selezione la fa comunque il mercato. Ma è lì, nella parte buona, che oggi i grandi gruppi editoriali americani vanno a cercare i nuovi talenti. E li trovano. Il futuro passa insomma dal digitale per poi magari ritornare a essere tradizione, a diventare libro cartaceo. Per me è stato così, merito di un editore dalla vista lunga e che conosce il suo mestiere. Della tecnologia non si deve insomma avere paura, anche perché l'ebook - in troppi se ne dimenticano per spocchia da frequentatori di libreria, per intenderci quelli che "io devo sentire il profumo della carta" - ha dato una possibilità a milioni di ipovedenti ai quali nessuna lente da presbite consentiva prima di leggere, mentre su un tablet puoi ingrandire i caratteri di stampa all'inverosimile. Per non dire di quanti milioni di persone vivono bloccati in un letto e in una libreria non ci possono fisicamente andare. A loro l'ebook ha dato una possibilità - o meglio, chiamiamola con il suo nome, Libertà, con la "elle" maiuscola - che prima non esisteva. Sono ancora troppi gli spocchiosetti che di queste cose fondamentali se ne dimenticano.
 
D- Mattioni,  Usa e Italia, nonostante tutto, quasi universi paralleli?
R - Se l'editoria italiana saprà riconoscere i propri errori commerciali, recuperare qualità e autorevolezza letteraria in ciò che stampa e mette in vendita, scrollarsi di dosso quella vecchia polvere intellettualistica che ancora in parte la soffoca e che include la vergogna di premi letterari i cui vincitori si sanno già mesi prima, forse i due universi potranno un giorno avvicinarsi. Ma io comunque non voglio essere frainteso: io non considero quello americano un modello di riferimento editoriale; reputo piuttosto gli Usa una società che, al di là dei suoi mille difetti, che conosco uno per uno, ha l'indiscutibile pregio di una forma mentis da disco vergine, pronto a registrare qualsiasi novità. Ecco, io penso che la più pericolosa zavorra italiana - ma vorrei dire il vero difetto mentale degli Italiani d'oggi - sia la paura diffusa nei confronti delle novità, delle incognite, delle diversità, di un pizzico sana eresia culturale, in fondo del tanto citato "stay hungry, stay foolish" di Steve Jobs. Lo citiamo, perché fa fico, ma in realtà abbiamo paura tanto degli affamati quanto dei pazzi. Abbiamo insomma il sacro terrore di tutto quanto non conosciamo, anche perché non abbiamo quasi nessuna voglia di conoscerlo. È solo questo che ci frega, in ogni campo, non soltanto nell'editoria.


*intervista a c. di Roby Guerra

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