Il poeta e filosofo Sandro Giovannini in Urfuturismo eBook

*Il seguente scritto, prima versione,  già nel cartaceo AA.VV, Al di là della destra e della sinistra..   (La Carmelina, Ferrara-Roma, 2013)a cura dello stesso Giovannini e di Roby Guerra, è stato riprodotto anche nella nuova versione eBook (uscita con il titolo completo Urfuturismo Futurismo Oggi 2000 n. 1, ebook collegato al rilancio digitale della storica rivista futurista secondo novecento di Enzo Benedetto e lo stesso Luigi Tallarico, critico d'arte specializzato per il Futurismo).  E nell'ebook, nuovi autori molto rilevanti quali Pierfranco Bruni, Miroslava Hajek, Luca Gallesi, i giovani stessi talenti Roberto Bonuglia, Sandro Battisti, Antonella Pagnotta, Luca Calselli.


Giovannini, ora, ulteriormente, ha aggiornato il medesimo scritto.



Per una volta teniamoci agli impulsi primari


di Sandro Giovannini



I


Questo scritto è stato composto volutamente a due giorni dall'esito delle elezioni italiane di febbraio 2013, quando non potevo conoscere ciò che sarebbe accaduto al proposito. Ma dovendo integrarsi nel libro collettaneo "Al di là della destra e della sinistra…", volevo provare a muovermi per una volta non al solito livello del "dover essere" ma a quello delle effettive pulsioni primarie. Il nostro usuale "dover essere" infatti corri­sponde ad una vocazione autentica di nobiltà d'animo e ad un'autoeducazione protrattasi per decenni e quindi non è affatto una "postura" inautentica, ma ha la grave carenza, nel proprio convinto volontarismo etico, di non considerare appieno quanto normalmente, dentro e fuori di noi, si muove a livello, appunto, delle pulsioni primarie. Gusti, disgusti, percezioni più o meno sensorialmente elaborate ma sulle quali hanno operato per lungo tempo contestualità esterne, compongono dei quadri pregiudiziali che divengono autentiche disposizioni ca­ratteriali. Lo sappiamo da un tempo infinito e da infinite fonti. Ma tali disposi­zioni, per quanto noi si faccia per considerarle o riportarle ad una gerarchia sovraordinata a più elevati standard concettuali, rappresentabili dalla nostra razionalità, permangono, sostanzialmente ed alquanto stabilmente, autonome. Nello specifico che ci riguarda, la ormai lunga storia delle complesse motivazioni "al di là della destra e della sinistra" che si nutre innegabilmente da tempo di un approfondito discorso teorico nazionale e sovranazionale e s'innerva in un ormai consolidato orizzonte non solo ideale e sociale ma anche storico, da una parte coglie infiniti spunti di superamento delle dicotomie di stampo ideologico, ma dall'altra necessariamente trascura, nel suo statuto eminentemente razionale, il trascinamento inestinguibile dei portati animici. In più avviene persino la possibile paradossale inversione del processo virtuoso di riconoscimento ideale nel cascame mass-mediale dei mille strepiti che sempre s'attestano su una linea "al di la della destra e della sinistra" rozza e populista, facilista ed aproblematica, che ritorna storicamente declinata brutalmente, magari alla fine di un sofferto percorso dialetticamente esistenziale, innestandosi su ogni vorticosa dinamica d'appartenenza formale e letteralista e prescindendo da ogni possibile sintesi, vera e di lunga durata. I portati animici più facilmente interpretano con immediata sicurezza i fenomeni della pesanteur (quelli che in altra sede abbiamo giudicato superabili solo in una pratica ove la partecipazione - ampiamente intesa - possa svolgere la funzione di chiave di volta e di punto di svolta delle divergenti e sempre rinnovantisi spinte centrifughe) e li collocano, se si può e se si vuole esser sinceri fino in fondo, in un contesto vivo che si rivela al fine molto meno semplificabile, anche teoricamente, di quanto spesso noi si dica o si voglia. Questa riflessione che, a prima vista, nella sua apparente plausibilità, potrebbe affacciarsi come decisamente accettabile, provenendo proprio da un modesto ma convinto alfiere di un comunque arduo percorso di superamento delle dicotomie e delle aporie ideologiche, è invece una potente dialettica messa in discussione non solo di tutto questo personale e comunitario percorso, ma dello stesso scritto che in Postfazione, (*) a mio nome, si dispiega in una logica ormai ben conosciuta e, sia pur in cerchie ancora limitate e convintamente elitarie, condivisa. Ma chi vorrà continuare a leggere coglierà il dato di tesi ed antitesi.




II


Alcuni caustici mass-mediologi con sapiente disprezzo ironizzano sulla persuasa stupidità che s'impadronisce delle opposte tifoserie politiche, in genere all'indo­mani dell'esito elettivo, una euforica e l'altra depressa, (soprattutto nei siste­mi d'apparenza almeno bipolare, che giocoforza semplificano grandemente la rappresentazione 'amico/nemico'). Essi apparentano la scelta a fattori emi­nentemente irrazionali, dimostrati dall'incongruità parallela delle interminabili vocazioni per casacche sportive, giudiziarie, istituzionali, ormai platealmente destituite da plausibilità legate a logiche causali e di non-contraddizione. E quindi ad una necessità molto profonda basante la sua indiscutibilità sulla ne­cessità ineliminabile di un'identificazione immaginale e larvatamente mitica an­che se spesso sostitutoria e pur facilmente demistificabile, ancor più nel regime odierno d'individualismo di massa. Ora, se essi da una parte colgono l'essen­ziale sotto la compiacente cupola asettica dell'irrazionale, dall'altro trascurano di necessità l'enorme, quasi insondabile, portato delle dinamiche interiori, ap­punto animiche, sia a livello psicologico, che sociologico, ponenti e sostenenti realmente le scelte. Spesso le derubricano troppo facilmente con categorie interpretative legate alla sufficienza intellettuale. In più la sferzante disamina dell'ingannevole futilità delle tifoserie (ben rappresentabili dall'insuperabile metafora renziana dei beccantesi polli), mentre bene delinea (e ribadisce) l'irraggiungibile alterità del potere reale ormai inestricabilmente insediatosi nell'universo globalizzato, tinge di drammaticità beffarda ed umanamente crudele questa sempre tentata e mai riuscita derisione e demistificazione. Quindi visione lucida ma senza alcuna pietas, pur dolentemente consapevole del vero sistema dominante, che altrimenti resterebbe nelle nebbie interpretative del panem et circenses, ben più funzionali ed utili - da sempre ed ancor più ora che non vi sono più confini per il consumo come valore dominate - al sistema medesimo.


Ora per non essere minimamente reticente e volgarmente generalista e per paga­re in prima persona anche di questa potenziale e dichiarata mancanza di pietas, devo, in corpore vili, provare a rimuovere quella cupola, partendo da me stesso, anche a rischio di semplificazioni pericolose. Il fastidio insostenibile che in me si crea quando (ad esempio) in televisione mi appare un volto che appercepisco come il non plus ultra della correttezza del pensiero democratista dominante, con ogni suo vezzo, furbizia, ammiccamento, discrezione e sapienza sa­lottiero/mondana e quindi inverando e superando, tra orchestrati ma forse anche ben autentici applausi, una distinta medietà che supera ben in efficienza ogni volgare improvvisazione, ogni facilmente decodificabile prossenetismo, ogni battuta o bat­tutaccia che tenda senza troppe pretese all'immediato consenso, è qualcosa che certamente potrei spiegare razionalmente. Questo (oltre a non interessare giu­stamente nessuno se non a livello sperimentale), e pur razionalizzabile se mi po­tessi trattenere approfonditamente su miei vissuti psicologici e politici, rivela che in me si determina comunque e nell'immediato, ma persino nel profondo con continuità sorprendente, una coinvolgente alterità, una sorta di "odio" po­tente e che scatta in modo irrefrenabile e che per giunta mi specchia con estrema rilevabilità nella presumibile concavità della "ragione/irragione primaria". So quindi quanto l'immagine speculare di quel volto, se fosse possibile raggiungere proprio quegli "agevoli altopiani" (esattamente contrari e non solo abbor­racciatamente o moderatamente alternativi), sarebbe altrettanto odiosa ed odiata. Anzi, tanto più essa cercasse, al di là di una pur comprensibilissima reazione, a determinarsi in un vero e proprio organico rifiuto ed in una rappresentazione del contrario perfetto di quel democraticismo imperante, di quel globalizzato pensiero unico, diverrebbe sempre specularmente di molto più odiosamente insopportabile di quanto ogni timido tentativo di reazione massmediale (il ra­gionamento di cultura alta viaggia perlopiù - seppur sempre pericolosamente - alquanto al disopra di queste paludi, ma ne risente ineludibilmente i miasmi), usualmente determini, ormai, nella nostra società. La battaglia letteralista, oscurante e martellante, che non sa (o non vuole sapere) di quali forze primarie stiamo trattando, in apparenza destrutturata di ogni verità rapportabile a fatti concreti, trascina un peso immaginale enorme ed insondato, che si combatte in primo assalto anche con cortine fumogene e shrapnels delle granate nominaliste moderate o radicali. E tanto più si riduca poi - per innumerabili motivi - il con­trollo sociale, nell'anarcoidismo orchestrato e funzionale, tanto più ogni gestua­lità complessiva (non parliamo neanche più di una logica del mentale quanto di una vera e propria fisicità primaria o motilista) si determinerà rivelatoria e di­scriminante. Ecco perché vi è una logica nell'entropia e perché ne possiamo in­vestigare - da e per sempre, con estrema attenzione - la procedura. Ma questa consapevolezza del davanti e del dietro dello specchio non consuma affatto l'o­dio, anzi in parte lo fortifica nella dimensione della sua irriducibilità e della sua incomprimibilità, oltre un certo grado e livello, seppur il super-ego determini sempre (il più delle volte a posteriori, e quando poi si realizzino realmente) le strategie stoiche di contenimento e di voluto superamento, secondo una rappresentazione gerarchica. Il viaggio al termine della notte, senza però sperabilmente compiacimenti artati né furbe semplificazioni, non impossibilita la visione apollinea (forse solo la costruzione), ma anzi ne giustifica la produttiva dialettica dionisiaca.




III



Ho costruito




Ho

costruito questa terrazza

come altre

tutte sul cielo

alcune con vista mare

altre con vista tetti

altre con vista boschi.



Sono stato spinto

da una forza

più forte

che non so a cosa attenga



O forse so

ma a chi importa una pulsione

quando siamo distratti da mille ambasce

tutte con vista inferno

e chi più fugge

più ne metta e riposi

in suo desire ...



Resta il sapore a fine ciclo

delle sfinite essenze

mille raggiungimenti

discepolati

nelle due direzioni

e mille scarti

perseguendo come molti

una via per aggiunta

un atto per levare



per prova diseguale e per affetto

ai pochi animi forti

che incontro

alle poste più impreviste

e affini

e colpevolmente forse

a quella tenerezza

ch'è segno e ruolo

di un'età che volge ormai

e che declina



Ma

dall'alto

tutto ciò che si perde

si riacquista

almeno in prospettiva

e la fisionomia sfocata

s'apre all'orizzonte esteso

alla distanza pura

ed alla chiara luce.

  


(*) in Postfazione, nello stesso libro, "Al di là della destra e della sinistra…", Edizioni La Carmelina, 2013, un altro articolo, sempre di Sandro Giovannini, dal titolo Dietro le quinte.