Paolo Melandri Centenario: Presenze enoiche nella poesia di Pascoli

Presenze enoiche nella poesia di Pascoli
«e… più non bere»
A

sentire i biografi, la cantina di Giovanni Pascoli era sempre molto fornita. Secondo alcuni, sarebbe stata la cirrosi a stroncare prematuramente il poeta dei Canti di Castelvecchio. Ma già quando era in vita, doveva circolare più di una indiscrezione sulle sue abitudini dietetiche se, in un momento di crisi della loro tormentata amicizia, D’Annunzio, piccato per le acide critiche del rivale alla propria mondanità, gli scriveva che preferiva rischiare l’osso del collo durante una caccia alla volpe anziché passare le serate davanti al fiasco. Il che doveva coincidere più o meno con la verità, se crediamo alle lettere, specie a quelle inviate all’amico droghiere Alfredo Caselli, che mostrano la costante preoccupazione del poeta di rifornire di cibi e bevande la propria dispensa.

Se la cantina di Castelvecchio fu sempre ben provvista, possiamo dire altrettanto della virtuale enoteca contenuta nei versi del suo proprietario? Si direbbe di no. Si tratta di una situazione speculare e opposta rispetto a quella di D’Annunzio. Nelle Myricae e nei Canti di Castelvecchio scorre decisamente poco alcol, vuoi per rimozione inconscia del tabù, vuoi per cosciente volontà di nascondere con cura un vizio vergognoso. Quando però nei testi pascoliani appare il vino, a fargli superare l’autocensura è la vite, alla cui ombra si nasconde. Lo stesso grappolo fa caute apparizioni, confuso tra foglie, gemme, pàmpini e fiori.

Proprio in ragione della loro rarità, gli affioramenti enoici meritano attenta considerazione, tanto più nelle Myricae, il libro in cui lo sperimentalismo pascoliano punta con maggior forza verso il traguardo dell’essenzialità.   .......................PAOLO MELANDRI,  2012
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