Domine, ne in furore tuo arguas me
neque in ira tua corripias me. (Psalmus 6)
*Saggio di Alessandro Guzzi, tratto dal Suo “Scritti Astrologici”, 2010: tra gli autori del libro Manifesto "Nuova Oggettività" e già redattore di "Letteratura-Tradizione". Breve saggio sulla riforma Liturgica del 1969, che rappresenta-secondo l'autore- la prova di quanto la dissoluzione e la decadenza del mondo moderno abbiano attaccato in modo tragico anche la Chiesa Cattolica, che solo apparentemente si è rivelata una fortezza inespugnabile.
“La Riforma liturgica (il tradimento) di Paolo VI infatti, non è rilevante solo per i credenti, ma segnala una compromissione teologica ed una degenerazione da leggersi anche come fenomeno degenerativo dell'intera Civiltà Occidentale”. Alessandro Guzzi
Copyright © 2010 Dr. Alessandro Guzzi
LA CONVERSIONE DI ANTONIUS BLOCK
LA FINE DELLA LITURGIA CATTOLICA ED IL RICHIAMO DI DIO QUANDO LA TIRANNIA DELLA RAGIONE GENERA MOSTRI
I - Non c’è dubbio. Gli Angeli fuggono dalle nostre Chiese quando iniziano quei cori strimpellati e stonati, dove ingenuità ed ignoranza misti al cattivo gusto divengono un puro sconcio. Una volta, nei bei tempi andati, simili canzonette devozionali erano, al limite, l’accompagnamento patetico delle processioni di paese, con parroci e chierici in testa a sostenere l’effige del Santo Patrono ed i ceri, mentre oggi sono parte integrante della Messa Cattolica nelle grandi città e dovunque.
Nel frattempo, il celebrante attonito guarda il vuoto, rivolto verso il pubblico con sguardo spento finge con difficoltà estrema grande concentrazione nel bene ed un qualche impossibile rapimento estatico. Poi una signora con messa in piega recentissima guadagna una postazione all’interno del sacro perimetro, che una volta era vietato al pubblico, e dal pulpito (!) legge i sacri testi con il tono di una scolaretta che ha imparato a memoria la poesia di Natale.
Le Schiere angeliche sono ormai lontane, risucchiate dal gorgo dello spirito che fugge e si ritira da ciò che è volgare. La nuova liturgia della Messa Cattolica (Novus Ordo Missae) promulgata da Paolo VI, tiene lontani gli Angeli per non parlare della Reale Presenza di Gesù. E pensare che proprio nel dominio della Musica destinata alla Liturgia Cattolica si scrissero i più grandi capolavori dell’Umanità e che il moto ascensionale tipico di quelle vibrazioni all’unisono con le Musiche dei Cieli, era in grado di trascinare più in alto, e a volte molto in alto le anime dei fedeli presenti, sempre appesantite da troppa polenta e salsicce e da troppi peccati. Ma oggi chissà, forse questa liturgia “popolare” e profana non fa succedere davvero nulla, perché esiste anche un modo in cui le cose debbono esser fatte, anche cose eccelse quale dovrebbe essere la Santa Messa Cattolica.i
Nell’antico i Santi vibravano al richiamo di quelle melodie che li attraeva al piano abitato dagli uomini; la Polifonia Antica di Ockegem, De la Rue, Josquin Desprez, Palestrina era davvero parte fondamentale della Messa e modificava il pensiero dei fedeli, trasportandoli in un luogo più alto da cui era possibile vedere un panorama più ampio delle cose della loro vita. Oggi in chiesa l’atmosfera è un po’ quella delle trasmissioni delle televisioni locali con cantanti dilettanti e presentatori di borgata. Ma nel caos generale e dissolvimento di tutto, come avremmo mai potuto conservare in Occidente qualcosa di così eccelso quale l’antica Liturgia Cattolica? Uscendo dalle chiese si sarebbe rischiato un trauma troppo forte a contatto con un mondo così degradato. E’ meglio così: una chiesa degradata per un mondo degradato.
Nelle antiche Musiche dell’Occidente a volte il momento più eccelso si raggiungeva quando la musica doveva dar suono a parole sublimi quali “Mater Christi” o “Deus meus”, ma forse ancora oltre si andava quando il canto, per dare il suono ad una singola vocale, sembrava non racchiudere più alcuna parola, ma si prolungava apparentemente all’infinito. In quei momenti il movimento ascensionale era talmente potente che sembrava che l’anima davvero lasciasse il corpo. Il movimento ascensionale era come se si muovesse a cerchi. L’ascoltatore veniva come rapito e portato volando in cerchi molto ampi, ed in questo tragitto prendesse coscienza della sua vita, della pietà e dell’amore di Dio. A volte da quel movimento si dipartiva un’altra spirale ancora più folgorante, che inesorabilmente ti portava ancora più in alto, fino ad un limite inaudito dal quale poi gradualmente declinava con umiltà. Attraverso la commozione tutto acquistava un altro significato. La commozione cresceva e saliva anche l’anima, sempre più in alto fino a quel limite possibile, dove il brivido di Dio era uguale a quell’attimo in cui la musica era come ferma per poi declinare. Gli uomini in quei momenti erano coscienti della Sua Reale Presenza.ii
Forse nell’Antico le anime degli uomini erano più vicine al cielo, non ostante le ingiustizie, gli orrori, le guerre, le pestilenze, di quanto lo siano oggi, in un mondo che all’apparenza si occupa persino dei “diritti delle minoranze sessuali”, della sopravvivenza della foca monaca o delle balene (senza un minimo di pietà per conigli e tacchini peraltro). Questo mondo moderno così pulito, deodorato, disinfettato è molto più lurido in verità di un lurido borgo medievale infestato da ratti e cimici. Ma questo è un discorso che ci porterebbe troppo lontano.
Ma chissà, sul piano di un progresso spirituale, cosa sarà stato più efficace per le giovani generazioni, una lunga stagione di deplorevole ozio imbelle all’università, quale avviene oggi in migliaia di casi, tra droghe, alcool, sesso estremo ed un pizzico di satanismo, o aver partecipato alla battaglia di Verdun, di Grodek o dell’Isonzo dove giovani europei nati alla fine dell’800 vissero esperienze terribili durante la Grande Guerra? Cosa è meglio sviarsi in questo mondo insulso pieno di morte e tecnologia, o mettere in giuoco la propria vita ogni volta che il fischietto ordina che devi uscire dalla trincea verso la terra di nessuno dove sopravvivere è solo un’ipotesi remota, per poi tornare in trincea tra topi, piaghe, boati e orrori?
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Continua: laboratorio ciberculturale
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