Federico Zamboni la musica e gli anni '70

*da FONDO MAGAZINE

Detto in due parole: a cavallo tra i Sessanta e i Settanta era tutto possibile, o almeno lo sembrava. Lo era di sicuro in campo artistico, e specialmente musicale. Lo sembrava anche in quello politico. Una sensazione collettiva che magari non era condivisa proprio da tutti, e forse nemmeno da una maggioranza effettiva, e consapevole, ma che autorizzava ciascun individuo a comportarsi come se le cose stessero davvero così.

Il passato era solo un’eredità che ti era capitata in sorte. Un patrimonio che ti spettava di diritto (la casa dei padri, o dei nonni, o di certi zii rompicoglioni) e che un giorno sarebbe stato tuo, per cui era bene, era naturale, era logico, che iniziassi a pensare a come utilizzarla. Al colpo d’occhio non sembrava davvero un granché, con tutte quelle decorazioni stucchevoli e quelle ragnatele negli angoli, eppure guardando meglio qualcosa di buono si riusciva a trovare. Per fortuna non si trattava di un unico appartamento. Ma di un intero edificio. Con diversi piani, con vasti solai e smisurate cantine – e sotterranei segreti, secondo qualcuno. Tolta la parte “di rappresentanza”, presidiata da quei domestici tanto sussiegosi quanto ridicoli, c’era una miriade di altri spazi. Meno accessibili. Più affascinanti. Meno illuminati. Più suggestivi. Meno frequentati. Meglio frequentati. Te li dovevi andare a cercare da solo, e tenerti pronto a essere rimproverato per averlo fatto, ma ne valeva la pena. Eccome, se ne valeva la pena.

Prendi la biblioteca, per esempio. I suddetti domestici non la chiamavano nemmeno così, perché per loro la biblioteca vera (con la B maiuscola e le lettere in corsivo costellate di svolazzi sinuosi come un inchino) era solo quella del succitato appartamento di rappresentanza. Per loro gli altri libri erano poco più che ciarpame accumulatosi col passare del tempo. Volumi da conservare perché così ha deciso il padrone – e si sa che le decisioni del padrone si accettano, e soprattutto si eseguono, senza discutere – ma da non leggere.

In realtà, invece, nella biblioteca/magazzino c’era di tutto. Compresi un sacco di libri che erano nuovi di zecca. O usciti solo da qualche anno. O comunque così vibranti di novità e di voglia di tentare l’intentato – e persino l’impossibile – da stagliarsi al di sopra del passare del tempo. Le istituzioni invecchiano, fino a diventare decrepite e a sbriciolarsi al primo soffio di vento. La ribellione continua a bruciare per l’eternità come se fosse il primo giorno. Il potere logora chi ne è schiavo, sia che l’abbia raggiunto sia che si ostini a inseguirlo. La libertà interiore mantiene giovani. Di una gioventù che non teme le rughe e che guizza negli occhi, tuttora capaci di entusiasmo e di meraviglia. Gli occhi che non smettono di avere sete di quello che non conoscono, anziché avere fame di posarsi per l’ennesima volta sulle certezze già acquisite.....CONTINUA

http://www.mirorenzaglia.org/2011/05/la-musica-al-tempo-dei-settanta/