Ferrara, la Cultura, il Futuro

fonte Ferrara Italia


Un sogno all'incontrario. Quale Cultura per la Ferrara di domani

ESTRATTO...


da Francesco Monini

In un indimenticato monologo, un giovane Paolo Rossi (anche lui un po' ferrarese) racconta di un sogno affatto strano, un sogno che forse capita solo una volta nella vita, "un sogno all'incontrario". Sogna cioè una città ribaltata, dove i ruoli si invertono, gli ultimi diventano i primi e gentilezza e ascolto reciproco contagiano la città come un'epidemia.
La storiella di Paolo Rossi non fa tanto ridere, ma fa pensare parecchio. Come la favola di 'Totò il buono' di Zavattini, risponde a una domanda tanto ingenua quanto impertinente: ma davvero le cose non potrebbero andare in un altro modo?
Verissimo, i sogni non bastano. Con i sogni non si manda avanti la baracca. Né una famiglia, né una città. Ma dietro ogni sogno si cela sempre una visione: quello che siamo, soprattutto quello che vogliamo diventare. Non chiedo quindi al sindaco Tagliani di essere più fantasioso o più onirico. E' giusto però partire proprio dal suo sogno ariostesco-bassaniano (ospitato da questo giornale il 16 giugno). Il sindaco enumera e difende le tante iniziative, eventi, progetti messi in campo dalla sua amministrazione, ma – è questo che più mi interessa – propone in filigrana la sua visione di fondo, la sua "idea di cultura" e, anche se in modo implicito, la sua scala di priorità in campo culturale.

I successi riportati da questa Amministrazione, in termini di mostre (fortunatissima quella sull'Ariosto), di eventi (piccoli, medi e grandi) e di promozione internazionale di Ferrara, dei suoi eroi e dei suoi tesori, sono innegabili.. Ugualmente evidente (anche se solo in parte vincente) è lo stretto binomio tra Arte & Cultura da una parte e promozione economica e turistica di Ferrara e del suo territorio dall'altra che ha guidato le scelte del suo governo. Dopo alcuni anni di flessione, possiamo registrare l'aumento delle presenze turistiche e la nascita di tante attività che il volano turismo ha messo in moto.
Sono poi in cantiere due enormi contenitori culturali: il Meis di Piangipane e la fabbrica dell'ex Teatro Verdi. Non entro qui nel merito dei due progetti culturali. Pongo però un interrogativo: riuscirà la città, non dico a far fruttare ma semplicemente a mantenere in vita queste grandi istituzioni? Se infatti tutti i lavori, compresi gli allestimenti interni, godono di finanziamenti regionali e nazionali, il peso della gestione corrente (personale, utenze, manutenzioni) credo verrà a gravare puntualmente sul bilancio comunale. Formulo quindi gli auguri di rito, ma i dubbi rimangono. Se mi guardo indietro, vedo una lunga e tristissima fila di musei ferraresi nati e morti bambini: il Museo della Metafisica, il Museo Antonioni, il Padiglione di Arte Contemporanea, il Museo dell'Illustrazione, il Museo dell'Architettura, la Sede dell'Ermitage di via Giovecca, Proprio in questi giorni, alcuni amici dell'Anpi mi dicevano della imminente chiusura (temporanea?) del Museo del Risorgimento e della Resistenza. Fa (e non mi pare poco) 15.000 visitatori l'anno ma servono locali per bar e bookshop per la Galleria dei Diamanti.
Ma non voglio perdermi nel particolare. Su questa o quella iniziativa, su questo o quell'evento, possono e devono esserci idee e opinioni diverse. Ben vengano anzi. Il tema non è apprezzare o contestare singole decisioni della politica culturale del governo locale ma discutere se la politica culturale scelta per Ferrara abbia un respiro sufficiente o comunque adeguato. Il problema insomma, è ancora quello della visione, del ruolo e della funzione che assegniamo alla cultura a Ferrara. Lo ricordava anche Gianni Venturi (sempre su queste pagine) lamentando una cultura indirizzata e fruita dai 'soliti noti'.

Ecco il punto. A me pare che il progetto culturale (pur condito da tante buone cose fatte o messe in cantiere) dell'attuale governo locale sconti una visione superata dagli eventi. In sostanza, viene ancora riproposta (riveduta e corretta) la vecchia idea, nata negli anni '80, di "Ferrara Città d'arte e di cultura". Un'idea certo interessante, che valorizzava il potenziale ancora inespresso della prima città moderna d'Europa, ma che già allora scontava il suo limite economicistico (la cultura al servizio del volano turistico) e i gravi pericoli di sbilanciamento sociale: prima i turisti e poi i cittadini, prima l'effimero e dopo i servizi permanenti, prima il Centro e dopo, molto dopo le periferie.
Da allora l'Italia è cambiata e di molto. La concorrenza su mostre ed eventi è diventata una lotta serrata tra decine e decine di città medie e piccole, ugualmente belle, o magari meno belle di Ferrara, ma dotate di un'economia più forte e di sponsor privati disposti a investire in cultura. Parallelamente l'economia ferrarese si è impoverita, sono scomparsi o volati altrove molti attori economici importanti. Infine il colpo di grazia: l'affondamento della Carife e della sua Fondazione ha privato la municipalità del suo maggiore alleato privato nel campo della promozione culturale.
Ma l'Italia, compresa la nostra amata Ferrara, è cambiata in modo ancora più drammatico. Otto anni di crisi hanno picchiato forte. L'imperativo categorico del rientro del debito ha fatto strage sociale. Certo, lo pretendeva l'Europa matrigna, vero, lo imponeva il governo centrale tagliando i fondi ai municipi, ma anche questa amministrazione ha fatto suo il medesimo obiettivo. Con qualche successo (il debito di Ferrara è calato) ma con effetti recessivi evidenti. Crisi e tagli alla spesa ci consegnano una città dolente e impoverita: se non vado errato, oltre l'8% di cittadini ferraresi sono sotto la soglia di povertà.
In ultimo, la atrocemente detta (dalla Destra), "invasione". Fatto sta che Ferrara, i nostri quartieri periferici, le nostre scuole, sono oggi una "città diversa" e (sia concesso almeno questo al Sindaco e alla sua Giunta) molto più complicata da governare. Premono nuove e importanti priorità se davvero vogliamo avviarci verso una società pacifica e multietnica: il problema di una accoglienza degna, di avviare un dialogo fecondo tra culture diverse, di pensare a nuove modalità di inclusione sociale e di partecipazione democratica.


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NOTA DI ASINO ROSSO


Bell'intervento critico, bersagli centrati sui bachi strutturali culturali di Ferrara, al di là di inerzie ideologiche ferraresi, nel contesto relativamente secondari.

Intanto, Monini segnala chiaramente a medio lungo termine (ma non tra decenni...) nodi economici di gestione persino dell'esistente eccellente non certo risolvibili con improbabili boom o volani turistico economici stessi. Soprattutto demitizza, constatandone l'errore oggi di prospettiva, la scommessa città d'arte alla pari delle grandi città d'arte di fine secolo scorso: all'epoca grande intuizione di Soffritti ecc, ma poi mai concretizzata appieno, per certo degrado politico culturale successivo e con la crisi economica globale. Giustamente, se beninteso, un sogno desiderabile dovrebbe essere la fine della grandeur ancora pretesa neoestense, immaginando sperimentando visioni di Ferrara città d'arte meno velleitarie, più "minimaliste" e local global. Una città d'arte nuova Ferrara peculiare, quasi un marchio relativamente unico, coinvolgendo come sistema di Rete soggetti culturali local ma rilevanti e di spessore nazionale (ce ne sono ...) come software, ma come hardware di base fondamentale , le associazioni di categoria "produttive" e le aziende come sponsor potenziali: sullo sfondo sarà decisivo un Big Data promoter local anche istituzionale ovviamente con l'utilizzo promo delle nuove tecnologie web e app, radicale.

Le risorse pubbliche stesse dal Comune vanno ottimizzate: pochissimi grandi eventi da conservare e un taglio potente verso iniziative anche accademiche o elargizioni associative improduttive, solo di acquisizione del consenso... E snellimento di forze umane oggi superfluo e improduttivo a livello istituzionale politico culturale diretto, bastano tablet e telelavoro per l'apparato e scelte meritocratiche (e non altro mediocre come spesso attualmente).

Le stesse associazioni di categoria presuppongono ai vertici soggetti umani più evoluti e non burocrati o ad personam come spesso è il Reale oggi, promiscui alle istituzioni. Le detassazioni sono fondamentali per stimolare l'area produttiva privata di Ferrara se la si vuole veramente sinergica come sponsor, perché la città è troppo cara, come città d'arte, per certi aspetti persino più delle grandi città d'arte, favorendo ovviamente cosi escursionisti e non veri turisti. Sperimentare il Futuro vuol dire pianificare a Ferrara sul serio (mai fatto) strategie non di pareggio, per illusori panem et circenses, ma di decollo turistico culturale economico, detassazioni alle aziende di Ferrara e del Centro Storico in particolare per trasformarle in sponsor dovrebbe essere abc, per vere sinergie di sviluppo privato pubblico e cifre medie per i turisti stimolanti.

Non ultimo, ottimizzazione delle risorse culturali local (ma di rilevo anche nazionale):ad esempio possibile che Ferrara, fu capitale del Rinascimento, non sia tappa consolidata e da anni ( riguarda anche il Medioevo meraviglioso che caratterizza ancora come noto urbanisticamente la città) per Festival del Rinascimento-Medioevo a cura di grandi esperti ferraresi che esistono? E mostre permanenti sulla Spal, "logo" più noto in Europa del Palazzo dei Diamanti stesso (piaccia o meno) o ovviamente sul Cinema anche dinamiche con certa tradizione dei vari Antonioni, Florestano Vancini, Rambaldi stesso ecc. o della Video Art, già Ferrara capitale in fine secolo scorso? O un Festival della Letteratura nella città dell'Ariosto e fino a M. Simoni, una fiera idem complementare (c'era ...abolita anni fa!) o un Festival dell'arte contemporanea coinvolgendo gallerie d'arte già esistenti local di interessante a volte spessore global o un Festival dell'avanguardia (abbiamo già Algorithmic ottimo, ma High Foundation che fine ha fatto). E- società aperta- Palazzo Schifanoia e un Festival dell'Astrologia, finchè ci son creduloni perchè no sul piano mediatico, ma ovviamente non solo?

Ora e questo strutturale, non si tratta di ennesimi grandi eventi esogeni, in tal senso eventualmente biennali o triennali da coordinare, ma ogni anno, bastano risorse culturali local-global che esistono e a costi quasi irrisori, rispetto a grandi eventi esogeni.

Poche edizioni, i memi genererebbero nuovi brand ferraresi di rilievo programmatico e visibile nella cultura contemporanea, nuove officine ferraresi reali e non quelle stucchevoli spesso di alcune realtà associative poco note fuori mura e manieristiche.

Non ultimo, tempo anche per le eccellenze annuali di diventare biennali, ogni anno sono solo le sagre, per cosi mediaticamente (non è un paradosso) potenziarle, liberare spazi di orizzonti espansivi diversificati.

Naturalmente, parafrasando lo stesso Monini, stiamo sognando: Pure, sogni o meno, piaccia o meno, al di là del nostro se si vuole Brainstorming, la rotta verso una Ferrara gemella nel futuro e più evoluta è questa. Le Terre gemelle esistono....