EURO DAY La Gran Bretagna a un passo dal rottamare l'Unione Europea!

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La Gran Bretagna "deve prepararsi" a lasciare l'Unione Europea se non otterrà la riforma del sistema di immigrazione interna che chiede da tempo.
A dirlo è il ministro degli Esteri Philip Hammond, esponente di punta dell'ala euroscettica del Partito conservatore, che in un'intervista al Telegraph, si spinge oltre quanto finora evocato dallo stesso premier David Cameron. L'uscita dalla Ue, spiega Hammond, sarebbe l'unico modo che i Tory avrebbero per resistere alla "minaccia esistenziale" rappresentata dall'Ukip di Nigel Farage, che proprio sulla retorica anti Bruxelles e anti immigrati sta costruendo le sue continue fortune elettorali.
I prossimi giorni saranno cruciali per i Conservatori che, nelle elezioni suppletive del 20 novembre nel seggio di Rochester e Strood, nel Kent, secondo i sondaggi sembrano destinati alla sconfitta contro Mark Reckless, ex parlamentare Tory passato con l'Ukip. Le dimensioni della sconfitta potrebbero innescare una crisi all'interno del partito, in vista delle elezioni generali del prossimo maggio, con ulteriori defezioni a vantaggio dell'Ukip. Londra deve ottenere da Bruxelles una "riforma significativa e sostanziale" del sistema che consente la totale libertà di movimento all'interno dell'Unione ai cittadini dei Paesi Ue, in particolare dall'est Europa. E questo deve avvenire prima del referendum che Cameron ha promesso di indire nel 2017, se il suo governo verrà confermato nelle elezioni del prossimo anno", ha aggiunto Hammond.
Nella consultazione verrà chiesto ai cittadini britannici se intendono rimanere o uscire dalla Ue. Un esito, dice Hammond, che "non è affatto sicuro". Il Foreign secretary chiede quindi flessibilità alla Germania, principale oppositore delle riforme chieste dalla Gran Bretagna in materia di immigrazione interna e si dice "molto più ottimista ora di quanto lo fossi prima di assumere questo incarico", rispetto alla possibilità di ottenere dei risultati nel senso auspicato da Londra. Perché, spiega, "avevo l'impressione di andare alla battaglia come una voce isolata (in tema di immigrazione, ndr). E ho scoperto che invece, quando entravo nelle stanze e dicevo, questo è il nostro problema, la gente mi rispondeva, ti capiamo perfettamente, è un problema anche per noi".