L'eredità di Averroè (Ibn Rushd). La felicità mentale ovvero la non sottomissione della mente.

 

Il concetto di felicità mentale è uno dei temi più suggestivi della storia del pensiero: emerso dalla speculazione di Ibn Rushd (l'Averroè dei latini), che ne recupera l'origine aristotelica, si immette soprattutto nella visione dantesca e apre un capitolo nuovo sul piano intellettuale dalle prospettive ancor oggi aperte. Dante, come ha scritto Maria Corti, fu particolarmente affascinato dall'interpretazione laica che Ibn Rushd diede alla filosofia di Aristotele. Da tali premesse si comprende a pieno il percorso averroistico di Dante.
E' d'altra parte nota la ricezione feconda di Ibn Rushd fuori dai confini dell'Islam. Nel mondo ebraico numerosi furono i pensatori averroisti: Moshe Narboni, ad esempio, è stato definito l'interprete dell'averroismo compiuto. In Occidente inoltre poche categorie hanno avuto più fortuna della filosofia di Ibn Rushd, né d'altronde certe errati giudizi sul suo professare l'unicità dell'intelletto possibile o nel suo credere in una "doppia verità" si sono rivelati attendibili.
Ora se, in effetti, una posizione fedelmente averroistica sull'intelletto umano fu sostenuta principalmente da Sigieri di Brabante e solo in seguito moderata e adattata alle esigenze della fede, è bensì vero che tutti gli altri maestri che si proponevano di comprendere direttamente il pensiero di Aristotele guardavano con interesse all'autorità dei commentari di Ibn Rushd. Ibn Rushd, che comunque era convinto, da parte sua, che il vero non contraddice il vero, sapeva di dover tener conto della molteplicità degli approcci della verità e dell'altrettanta disomogeneità dei linguaggi con cui i filosofi si rivolgono alla massa quando si parla di verità.
Tra le diverse tematiche averroistiche si distingue, come si diceva sopra, il concetto di felicità mentale: ed è anzi tale aspetto che potrebbe qualificare autenticamente l'averroismo, cioè la ricerca della sublimità del piacere spirituale. Nella sua opera l'Incoerenza dell'Incoerenza, Ibn Rushd afferma senza equivoci che nulla può superare la nobiltà della conoscenza e che l'eccellenza dell'essere sta nella qualità e nella quantità della conoscenza. La felicità mentale, pertanto, è quella categoria filosofica che fa dire a Boezio di Dacia che la più alta facoltà dell'uomo è costituita dalla ragione e dall'intelletto: in altri termini la più alta guida dell'uomo. Ma tutti gli uomini possono raggiungere questo stato di felicità? La felicità mentale per Averroè, che recepisce compiutamente, in questo senso, la lezione di Aristotele, coincide con la percezione intellettuale.
Nel libro Lambda del Grande Commentario di Aristotele, Ibn Rushd accenna perciò alla felicità mentale e fa riferimento, per fornire una spiegazione, all'unione necessaria dell'intelletto possibile con l'Intelligenza agente allo scopo di acquisire tale condizione felice. Analogamente ad Alfarabi^,si coglie in Ibn Rushd una sorta di massima ipostatizzazione dell'intelletto umano nell'istante preciso in cui "intellige". In opere strettamente islamiche come il Trattato decisivo e Svelamento dei metodi di prova, Ibn Rushd non affronta apertamente questo argomento, che invece riserva ai lavori tipicamente aristotelizzanti. L'Ibn Rushd musulmano afferma in termini ortodossi che felicità significa conoscenza di Dio e che la salute spirituale è garantita dalla conoscenza e dalla pratica derivanti dalle prescrizioni delle Scritture. Così la felicità mentale è garantita dalla profezia.
Il ponte tra filosofia e teologia sta nel fatto che, a detta del filosofo berbero-andaluso, come ricorda Hernandez Cruz, solo nella società umana gli uomini possono conseguire la massima felicità. Ibn Rushd ritiene con profonda fede aristotelica che l'uomo è un animale politico, "per cui la comunità sociale moltiplica le esperienze, aumenta il sapere, fa crescere il desiderio di conoscenza e facilita l'allargamento della mente umana". Ibn Rushd insiste sul fatto che scopo della Legge è l'istruzione delle masse, ma che i filosofi dediti alla dimostrazione sono inclini a godere della perfetta felicità, mentre il popolo deve essere istruito con la semplicità e la retorica.
Quest'ultima ha un fine educativo di cui i filosofi non hanno bisogno. Anche per tale ragione la felicità mentale comporta la non sottomissione dell'intelletto. Se la religione è il collante che coagula le masse, i teologi e i filosofi, per il pensatore di Cordova le religioni sono vincoli indispensabili del vivere civile. Conformarsi ai dogmi della fede, quindi, è un obbligo per tutti i credenti anche per evitare le lotte religiose tra le sette. Ibn Rushd conclude l'Incoerenza dell'Incoerenza, asserendo che, ovviamente dal suo punto di vista, l'Islam è la migliore delle religioni, poiché ha saputo sapientemente coniugare la profezia alla razionalità.
Un filosofo musulmano contemporaneo, l'egiziano Hasan hanafi^ ha ripreso questo concetto in un suo studio del 1982 nel quale propone un'interpretazione assai peculiare del Cordovano. Hanafi^ ritiene a questo proposito che la filosofia greca e l'Islam sono espressioni convergenti di una razionalità matura. E' facile trasportare, come fa Ibn Rushd, dunque, la dottrina di Aristotelica sul piano speculativo della concettualità islamica, dal momento che il fine di Aristotele era quello di trovare un equilibrio della Verità sul piano razionale e quello di Ibn Rushd di individuarlo sul piano rivelato.
La non contraddittorietà delle verità spinge Hanafi^ a rivendicare l'appartenenza di Ibn Rushd alla tradizione islamica, ma anche a sostenere, da un punto di vista fenomenologico, che l'aristotelismo di Ibn Rushd rappresenta la traduzione del tempo storico della filosofia in tempo coscienziale, anzi in una "introiezione" del tempo storico della filosofia della coscienza. In tal modo Ibn Rushd, campione del razionalismo più moderno, rappresenta una tappa d'avanguardia di quel passaggio dalla teologia all'antropologia che, secondo Hanafi^, è la chiave del rinnovamento delle scienze religiose contemporanee e soprattutto un contributo all'analisi critica di esse. Anche per tale ragione si può ben affermare la modernità straordinaria di Ibn Rushd.
Casalino Pierluigi, 2.03.2014