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L'affaire Venner * by E. Galoppini


 
 
 

LA SCELTA DI DOMINIQUE VENNER

Il problema è che non basta una posizione “di destra” a fermare il declino…









da http://www.rinascita.eudi giovedì 23 maggio 2013




Martedì, nella cattedrale di Notre-Dame a Parigi, si è sparato in bocca uno studioso molto noto nell’area della destra identitaria francese, Dominique Venner.

Si può affermare con una discreta certezza che la causa dell’estremo gesto del settantottenne animatore della rivista-movimento “Europe-Action”, vicino alla “Nouvelle Droite” ed autore di molte pubblicazioni di carattere storico e politico, alcune delle quali tradotte in italiano, sia da ricercare nell’angoscia mista a disgusto per la progressiva perdita d’identità della sua patria e della sua nazione.
Da una parte, infatti, gli scritti più recenti di Venner vertevano sui pericoli derivanti dal “multiculturalismo”, in particolare “l’islamizzazione” della Francia (e dell’Europa), che egli vedeva come una iattura che di qui a breve si realizzerà compiutamente; dall’altra, egli aveva dichiarato la sua ferma contrarietà - come del resto milioni di francesi e anche parecchi sindaci che hanno già annunciato la loro ‘obiezione di coscienza’ - alle cosiddette “nozze gay”, contro il cui disegno di legge è in programma, tra pochi giorni, una manifestazione oceanica nella capitale francese.

Il senso dell’ultimo messaggio scritto che ha lasciato è che bisognava che qualcuno si sacrificasse con il classico “bel gesto” in grado di scuotere le coscienze di una nazione intorpidita ed assuefatta al degrado sociale e alla pura e semplice scomparsa.

I commenti, nell’epoca dei blog e delle “reti sociali”, non sono mancati. Ognuno ha detto la sua, e coperti dall’anonimato alcuni si sono sbracati in porcherie degne della categoria che dichiarano di rappresentare. Basti leggere i commenti, sulla pagina Facebook dello stesso Venner, di alcuni “attivisti gay” (cliccare su “mostra i commenti precedenti” al post del 14 maggio).

Altri, paladini del “multiculturalismo” a tutti i costi e senza limiti, poiché per loro esistono solo “cittadini del mondo” (salvo verificare quanto sarebbero disposti a non sbellicarsi dalle risate se, poniamo, un Mario Brambilla pretendesse di diventare “congolese” dopo dieci anni di permanenza nel paese africano!), hanno commentato con analoghi insulti, che denotano un fanatismo unilaterale misto ad una cieca “intolleranza”: proprio loro che predicano il suo opposto per mari e monti!

Parlando invece di cose un attimo più serie, si registrano i pareri di chi ha rilevato l’esagerazione del gesto dello scrittore francese, se non altro per la “causa” in sé, che a loro dire non lo meritava.

Qui però bisogna svolgere due riflessioni su quelle che sono la sensibilità “di destra” e quella “di sinistra”.

Una moderna sensibilità “di destra” è senz’altro più ricettiva verso quel che attiene alla sfera della “civiltà” (identificata a volte con “la tradizione”, sebbene mal compresa, e lo vedremo dopo) e della “identità” (no agli immigrati, alle moschee eccetera), mentre una “di sinistra”, è maggiormente incline verso quel che riguarda “i diritti” e “il sociale”. Ecco perché Palach - come i monaci tibetani - si dà fuoco perché “manca la libertà”, mentre Venner si spara perché con i “matrimoni gay” ritiene si sia di fronte ad un “suicidio della nazione”. Non so se mi sono spiegato: queste sono la “destra” e la “sinistra”, anche nelle loro manifestazioni estreme dal punto di vista esistenziale quale può essere un suicidio.

Ovviamente esistono anche posizioni miste, intermedie, quale può esser stata quella di Mishima, che per elevare il suo grido di dolore contro “la morte del Giappone” si produsse in uno spettacolare “suicidio rituale”, con tanto di guardia d’onore paramilitare ad assisterlo. Mishima, però, che tra l’altro era pure omosessuale (ma non pretendeva il diritto di sposarsi con un altro uomo né di adottare figli!), piaceva un po’ a tutti, sia “a destra” che “a sinistra” (per gli stessi motivi per cui non piaceva sia da una parte che dall’altra).

Poi vi sono anche i suicidi per pura e semplice disperazione, parecchi in questo periodo, e quelli non sono né “di destra” né “di sinistra”, dato che la mancanza di lavoro, lo strozzinaggio degli “istituti di credito” e tutto il portato della cosiddetta “crisi” voluta e creata ad arte dalle élite finanziarie, non guardano in faccia a nessuno e sono spietatamente “bipartisan”.

Ma tornando ai “suicidi esemplari”, si può affermare che mentre un uomo “di sinistra”, specie di quella votata al materialismo più ottuso, non crede assolutamente a nulla oltre “il mondo”, e per questo va a farsi “suicidare” nelle cliniche svizzere, mediamente un uomo “di destra” ritiene vi sia “qualcosa” al di là di questa vita. Sovente ha un credo, talvolta una pratica religiosa, ma quasi mai un’autentica guida spirituale, con ciò intendendo un uomo realmente connesso con il “divino” all’interno di una tradizione regolare.

Purtroppo, se certa “destra” di due secoli fa, o ancora del secolo scorso, poteva dirsi “tradizionalista” (almeno per i suoi riferimenti culturali), lo stesso non può essere affermato al riguardo della più recente versione, sempre più “americana” ed “identitaria” e, magari in buona fede, attestatasi su battaglie di per sé giuste, ma in fin dei conti di retroguardia, a difesa della “società borghese”, senza però i saldi riferimenti e soprattutto l’esperienza vissuta di una tradizione regolare. Se poi ci aggiungiamo una discreta dose di filosofia superomista, anticamera del nichilismo, la via è già spianata per giungere anche ad un gesto estremo come quello di un “suicidio esemplare” in cattedrale.

Ora, l’Uomo non ha fatto del male a nessuno con quel gesto, nel senso che non è piombato nella sede di un’associazione di omosessuali o in una moschea sparando all’impazzata. Male, forse, l’avrà fatto ai suoi familiari, ma se si rilegge bene la sua lettera, chissà…

Il punto, a mio avviso, è un altro.

Se si vuole davvero evitare un “suicidio della Francia” (e dell’Europa), ostaggio del “multiculturalismo” e della “omofilia”, al di là della remota possibilità di prendere il potere per poi fare “come diciamo noi” (il che ha sempre la sua importanza, purtroppo disconosciuta da molti “tradizionalisti”), a livello esistenziale c’è una sola cosa da fare. Smettere di vedere sempre nero e mettersi a fare figli, come fanno gli immigrati che spaventano oltremisura le sensibilità “di destra”. Non il figlio unico o due figli, ma tre, quattro eccetera, perché se “il numero è potenza” (celebre motto mussoliniano) sarà anche riduttivo, nelle relazioni tra i popoli esiste il fattore numerico, pertanto chi fa figli vive e va avanti, chi non ne fa muore e sparisce dalla faccia della terra.

Le famiglie numerose sono anche un potente antidoto alla diffusione dei “matrimoni gay”, non c’è dubbio.

Come può diventare un figlio unico che vive perennemente attaccato alla sottana della mamma terrorizzato dalla “vita” che l’aspetta fuori dalla sua rassicurante cameretta? Certo, esistono molti altri fattori che incoraggiano tutto ciò che è “gay” (dallo spettacolo alla “cultura”, dai modelli familiari ai ritmi lavorativi, dall’incertezza sul futuro alla mancanza di figure di riferimento eccetera), ma l’uomo è anche e soprattutto un essere dotato di volontà, che può scegliere di darsi una regolata e svegliarsi, ritornando in sé e piantandola con il piagnisteo d’ordinanza che ormai lo contraddistingue.

Non c’è lavoro? In famiglia non ci sono più i “modelli” di una volta? Le donne sono così e cosà, e gli uomini idem? Chi se ne frega! Ad un certo punto, se uno non vuole diventare un fallito esistenziale senza un carattere, è un imperativo categorico quello di rimboccarsi le maniche e metter su famiglia, possibilmente numerosa.

Lì c’è la vita, altrove c’è la morte, così evidente anche se provano a confondere le idee con le sbandierate arcobaleno.

A questo punto mi sembra già di sentire l’obiezione: “eh, ma se non ci sono i soldi”… E perché, al di là del fatto che in troppi sono praticamente assistiti (ma qui il discorso si allargherebbe agli indicibili “accordi” tra lo Stato italiano e quelli di provenienza degli immigrati), vi sembra forse che la maggior parte degli immigrati navighi nell’oro? Nient’affatto! E cos’è che li sorregge allora?

Un sociologo o un antropologo possono dire cosa vogliono, con tutte le loro pubblicazioni “scientifiche”, ma quel che è certo è che gli immigrati, e specialmente quelli di religione islamica che terrorizzano gli “identitari” (senza dimenticare i romeni, sia cattolici che ortodossi), fanno tanti figli, anche in mezzo a difficoltà che noialtri manco c’immaginiamo, per il semplice ma basilare fatto che hanno fede in Dio.

La questione, dunque, non è quella di criticare, o peggio dileggiare la scelta di Dominique Venner da un punto di vista “ideologico” (“destra” contro “sinistra”, “omofobi” contro “omofili”, “razzisti” contro “antirazzisti”), ché si tratta in un modo o nell’altro di falsi opposti, di dicotomie che traggono vita solo dal fondamentale distacco dei moderni dall’unica posizione in grado di trascenderle, che è quella tradizionale, ovvero quella che è sempre stata patrimonio di tutti i popoli prima che, proprio in Francia, con la “Rivoluzione Francese”, attecchisse il morbo della “democrazia” e perciò della “politica”, per cui tutti hanno (o credono di avere) delle “idee politiche” (o semplicemente delle idee!).

Il problema, ripeto, è quello di un ritorno alla normalità, che lungi dall’essere la sovraesposizione di tutto ciò che è omosessuale o l’esaltazione del “multiculturalismo” (il cui esito è un’indistinta macedonia, com’è dimostrato ovunque si è imposto), non può però essere una posizione “di destra” o “conservatrice”, bensì quella fede in Dio, quella scintilla che mette in moto tutto il resto, senza la quale “i nostri avi” non avrebbero tra l’altro edificato quei magnifici inni alla vita che sono le cattedrali.


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