Tutto ciò che noi ricordiamo oggi, e che domani noi ci immaginiamo che sia, è comunque tinto con il colore del momento, in cui oggi noi siamo. Ogni presente è colmo di passato e di futuro e poiché essi sono colmi di presente, ogni nostra immagine muta, impercettibilmente come le onde del mare. Una circostanza che nei nostri convulsi giorni contemporanei non cogliamo più in alcun modo. Presi noi stessi in questa segreta metamorfosi e, al tempo stesso, vinti dall’illusione di essere al centro di un’identità costante, quasi immutabile, siamo naturalmente portati a dividere immagini e pensieri, assegnandoli ordinatamente a una delle tre possibili dimensioni temporali, dimenticando la pluralità di dimensioni che esistono e si intrecciano, non di rado a nostra insaputa. Così nel Canto XI dell’Odissea di Omero, la fantasia dell’eroe Ulisse, misterioso universo del pensiero umano, sollecita quello della visitazione. Tutto racconto omerico, infatti, è attraversato da ricordi e da interrogativi, da domande poste con ansia al destino: un percorso dunque, quello di questo capolavoro del sommo poeta greco, inevitabilmente sospeso tra passato e futuro. Mentre l’io e le ombre si alternano nel rispondere e nel tacere, due grandi divinità presiedono in silenzio ai loro scambi: Ades, che rappresenta il regno della morte, e Mnemosyne, che evoca la memoria e i suoi labirinti mentali onirici e fantastici legati al passato, a quel tempo, cioè, che mai tramonta. E Ades governa insieme a Mnemosyne. Entrambi regnano nel buio che avvolge ciò che è visibile ai viventi, quell’ombra profonda che si estende dal cielo notturno, eterno arcano dell’arte e della coscienza, alle profondità della terra, pervasa dai timori e dalle speranze degli uomini. Un invito a pensare l’impensabile, insopprimibile aspirazione dell’umanità in viaggio verso il suo futuro.
Casalino Pierluigi, 28.09.2011.