Si fa un gran parlare dell’evasione fiscale. La settimana scorsa anche due cardinali sono intervenuti sull’obbligo morale e sostanziale di pagare le tasse. Hanno seguito lo stesso percorso dottrinale partendo dal medesimo passo evangelico, ma Ravasi, confinato nell’ambito di mille battute del suo impagabile Mattutino, non aveva spazio da destinare al rovescio della medaglia, Caffarra invece, nell’omelia della Messa per il Patrono della Guardia di Finanza (S. Matteo evangelista, il “pubblicano” esattore di tasse), ha potuto evidenziare senza restrizioni entrambe le facce del rapporto esistente fra il servizio pubblico e il dovere di pagare le tasse. Dovere che trova il suo fondamento oggettivo nel servizio che lo Stato rende ai cittadini. Ovviamente – ha aggiunto – trattasi di un dovere reciproco: al dovere del cittadino corrisponde il dovere di coloro che S. Paolo chiama ‘servitori pubblici’ di assicurare il rispettivo servizio, che secondo l’Apostolo esige ‘una applicazione costante al proprio compito’.
La lezione impartita dal titolare della Cattedra di S. Petronio è di certo ridondante per la Guardia di Finanza che non ha bisogno di suggerimenti, investita com’è del compito sistematico d’individuare chi non paga le tasse e, purtroppo, NON quello d’individuare i ‘servitori pubblici’ inadeguati. Ma poiché parlare a suocera perché nuora intenda è sempre utile, i media laici hanno divulgato il messaggio, sia pur focalizzando l’attenzione solo sul dovere di pagare le tasse, trascurando invece il seguente passaggio: “.. Da parte del ‘servitore pubblico’ l’insidia peggiore è l’oscurarsi nella coscienza di essere ‘servitore del bene comune’ e non del bene particolare di gruppi o individui”. Nonostante le apparenze, in questa frase il cardinale si riferisce ancora al Vangelo e non al blog di Beppe Grillo e suoi richiami ai ‘nostri dipendenti’ che occupano poltrone per farsi gli affari loro, o addirittura sono personalmente incapaci di non fare disastri. Strana coincidenza o Grillo teocon? No, semplice buon senso applicato, senza il quale ogni paese civile muore. Come muore la mia città, dove migliaia di km di rete gas municipale sono stati “venduti” dal sindaco a prezzo simbolico con buono omaggio del monopolio del servizio; dove l’unico ospedale cittadino viene lasciato andare in malora da 20 anni per chiuderlo in vista di una sostituzione con un altro lontano e mai finito, insaziabile voragine di soldi pubblici. Dove il Municipio compra all’ingrosso bici a 1.000 euro l’una e una passerella ciclopedonale che scavalca un fosso di scolo a 70.000; dove il consumo annuo d’acqua potabile della residenza municipale pesa mezzo milione di euro; dove per estemporaneità museali si spendono milioni invece di investirli in richiami permanenti di cui siamo carenti per attirare flussi turistici costanti. E tante altre nefandezze ancora, tutte rese possibili dalla disponibilità di soldi pubblici. Non ci siamo. C’è da chiedersi se sia davvero un obbligo morale pagar tasse decise e fruite da chi appartiene al Sistema che le dilapiderà, come è storicamente provato.
Paolo Giardini