Nel 2007 il fortunato film di un regista iraniano, tra censura e coraggio, in un momento di isteria antiebraica da parte della leadership di Teheran, ricordava gli sforzi compiuti dai diplomatici del suo Paese in Europa per salvare gli ebrei dalla persecuzione nazista. Analogamente, all’indomani dell’avvio dell’operazione “Barbarossa” da parte della Germania, Wladyslaw Sikorski, primo ministro del governo polacco in esilio e l’ambasciatore della Russia sovietica a Londra, Ivan Mayski (dopo una certa ambiguità nell’atteggiamento di Mosca nei confronti della popolazione ebraica) inserirono tra le clausole del trattato di alleanza tra le due parti anche la liberazione di migliaia di prigionieri polacchi, in particolare ebrei) e il loro trasferimento in Iran. I mullah (clero della confessione islamica shiita) si prodigarono nel prestare aiuto a questi disgraziati, invitando dalle moschee i fedeli a fare altrettanto. Il clero shiita sottolineava il fatto che gli ebrei erano fratelli degli iraniani, appartenendo alla stessa famiglia da almeno 2500 anni. Fu proprio Ciro il Grande, del resto, a liberare gli ebrei dalla cattività babilonese e ad accoglierli in Persia. Non è infrequente sentire dire dagli iraniani ancora oggi che gli ebrei sono parte del loro popolo. Considerazioni analoghe si colgono in Nord Africa, in Siria, in Libano, in Turchia, in Yemen e in altri paesi musulmani, nonostante le polemiche legate alla questione palestinese.
Casalino Pierluigi, 18.04.2011.