In una concentrazione estrema di follia, di ribellione e di sogno, Arthur Rimbaud ci parla di quello "sregolamento di tutti i sensi" attraverso il quale si arriva all'ignoto. In altre parole l'autore francese definisce il poeta e quindi se stesso "ladro di fuoco" e afferma risoluto di lavorare per "rendersi veggente". Del resto poche pagine di Rimbaud valgono ben più di tutto uno scaffale di Proust, Joyce, Eliot e Pound. C'è chi legge Rimbaud come un rivoluzionario, di un nihilista nemico di ogni regola e convenzione, di un cristiano sospeso tra l'abisso del peccato e la redenzione. Il grande poeta arabo Adonis lo legge come un mistico, sottolineandone le affinità con l'Oriente. Ma il mistero dell'uomo Rimnaud resta intatto. La pratica estrema della poesia, giunta al punto di maggior incandescenza, provoca il proprio annullamento: Rimbaud è in fuga continua soprattutto da se stesso. A partire dal 1874 Rimbaud inizia a viaggiare intorno al mondo, sino a Giava, svolgendo i lavori più disparati, tentando anche di arruolarsi nella marina americana. Il poeta parla ormai diverse lingue. Giunto da Genova sul Mar Rosso, si fermerà ad Aden, nello Yemen, per diventare un agente di commercio, che traffica in partite di caffè e in armi in particolare con l'Harar, in Abissinia, raggiungibile in venti giorni di cavallo attraverso il deserto somalo. Da quel momento si occuperà di commerci e di affari con la stessa intensità con cui si era impegnato nella poesia. Di questa sua esperienza c'è traccia nelle lettere che invia alla famiglia, mentre registra per lui il trascorrere del tempo su di lui. Nel 1891 si ammala e viene trasportato all'ospedale europeo di Aden da cui a maggio dello stesso anno è trasferito a Marsiglia, dove gli viene amputata una gamba e la sua sua condizione si aggraverà.Rimbaud finirà i suoi giorni nella consapevolezza della sua disgrazia e nel suo ultimo delirio si vedrà a bordo di una nave in partenza verso l'ignoto, di nuovo in partenza verso lontani destini.
Casalino Pierluigi, 27.06.2014