Il ragioniere ferrarese Dario Franceschini


IL GIORNALE
Intervenendo alla terza edizione degli Stati generali della cultura, promossi dal Sole24ore, il ministro Dario Franceschini ha parlato di rivoluzione per i musei.
Ascoltando però le sue proposte, sia quelle contenute nel recente decreto «Art Bonus» sia quelle appena emendate, il cambiamento epocale è ben lontano da arrivare: il nuovo provvedimento di Franceschini infatti dichiara che dal 1° luglio i ragazzi sotto i 18 anni entrano gratis, sopra ai 25 anni pagano tutti; i maggiori musei rimangono aperti fino alle 22 il venerdì, e ogni prima domenica del mese sono gratuiti. Infine, conclude il ministro, gli sgravi fiscali al 65% sulle donazioni al patrimonio pubblico tolgono «ogni alibi ai privati». Ma veramente si può pensare che tutto ciò sia una rivoluzione? Queste sono soltanto piccole modifiche, alcune anche meritorie, ma di natura puramente ragionieristica, che non intaccano le criticità del sistema museale italiano.
Sarebbe invece interessante che il ministro rispondesse alle cinque domande, ben appuntite, che il Dipartimento cultura di Forza Italia gli ha rivolto.
La prima domanda: «Qual è la ratio che limita l'Art Bonus ai soli beni culturali pubblici? Il ministro è a conoscenza dell'immenso patrimonio gestito dai privati che rischia di essere confinato tra i tesori nascosti o nel degrado?». In effetti dei 4.700 musei e dei 59.900 beni archeologici e architettonici una parte rilevante è privata o gestita dai privati. E di essa il ministro non parla mai.
Seconda domanda: visto che Art Bonus regala 50 milioni di euro alle fondazioni liriche, «qual è l'intento di questo ennesimo provvedimento d'urgenza, che continua a ignorare le reali cause del dissesto organizzativo e finanziario del settore?».
Terza domanda: «Perché il ministro non estende l'Art Bonus allo spettacolo dal vivo, introducendo specifiche forme di incentivazione fiscale per i privati (tax credit e tax shelter), affiancando l'intervento diretto dello Stato, delle regioni e dei comuni secondo il principio costituzionale della sussidiarietà?». La sussidiarietà è stata un cavallo di battaglia di Renzi in campagna elettorale, ma nei provvedimenti non ce n'è traccia.
Quarta domanda: «Perché il ministro si appresta a modificare il panorama dello spettacolo dal vivo avvalendosi di un semplice decreto ministeriale che rischia di selezionare acriticamente e di favorire la concentrazione delle risorse su oligopoli pubblici, ledendo il ruolo dei tanti artisti e delle piccole iniziative che costituiscono l'humus culturale italiano? Non è il momento di operare una seria riflessione in Parlamento e di varare la tanto attesa legge di riordino del settore?».
Quinta domanda: ora che «il Teatro Valle “okkupato” festeggia tre anni di felice anarchia, cosa risponde il ministro a coloro che pensano che il rispetto della legalità sia ancora un valore etico e civile per il Paese? La cultura è libera e tale deve rimanere, anche quando il bene comune diventa proprietà di fuorilegge protetti dal grigiore delle istituzioni».
Queste sono domande serie e precise. Risponde, il ministro, oppure tace?