Resoconto presentazione libro-manifesto, “Per una Nuova Oggettività”, Rovereto 5 aprile 2012, ore 20,30
Nella suggestiva cornice di un’ampia sala interna del Museo Civico di Rovereto, e di fronte al un pubblico numeroso e partecipe, ottimamente organizzata dalla Associazione Culturale Anthropos, aprendo un ciclo di conferenze sul territorio trentino, coordinata dal Dott. Simone Marletta, si è svolta questa ulteriore presentazione del libro-manifesto “Per una NUOVA OGGETTIVITA’, popolo, partecipazione, destino”, edito dalla Heliopolis alla fine dell’anno 2011, e con un vasto contributo di scritti - oltre 90 - ed una ancor più ampia sottoscrizione formale di intellettuali, artisti ed operatori culturali. Il dott. Marletta ha esordito ringraziando tutte le componenti del territorio che hanno reso atteso e seguito l’incontro ed ha sottolineato l’importanza che cultura e impegno civile e politico siano, nelle rispettive indipendenti sfere, in feconda sinergia, per evitare che ricerca del compromesso, mediazione di interessi e mera tecnica del potere scadano in una autoreferenzialità ottusa e deviante. Ha illustrato al proposito la struttura del libro-manifesto che in tre parti e con differenziati campi d’indagine e con un ricco apparato critico, raccoglie il meglio delle culture originarie di tutta un’ampia area ideale e che senza falsi unanimismi ma con una sorta di identità plurale li accoglie in vista di nuove possibili sintesi.
Ha poi parlato Stefano Vaj, brillante teorico e noto autore di testi di critica biopolitica e di saggi all’intersezione di scienza e filosofia ed anche uno dei quattro primi estensori della parte introduttiva del libro-manifesto, confermando che proprio l’indicazione tripartita scelta dal ciclo programmato dalla “Associazione Culturale Anthropos”, (Progetti per il futuro, Una storia dal nostro passato e Riflessioni sul presente) sia la medesima logica intrinseca che ha guidato la struttura formale delle partecipazioni scrittorie del libro-manifesto che, nelle varie sezioni in cui si è articolato, ha cercato proprio di porsi lungo tale direttrice. Ora Vaj, anche dal proprio personale taglio interpretativo che ha nelle culture nicciane futuriste e sovrumaniste il suo centro focale, ha ammesso che la possibilità stessa di nutrire un progetto sia oggi una missione quasi impossibile a fronte delle emergenze etniche biologiche sociologiche e geopolitiche, con il concreto rischio di una sostanziale “estinzione spirituale”. Il tutto in un panorama complessivo ove forme nuove non nascono più e le vecchie non sono più intimamente operanti. Quindi si può facilmente affermare che l’avvitamento profetizzato agli inizi dell’età moderna si sia sostanzialmente realizzato. A tal punto il rifiuto dell’estinzione, non solo a livello di specie, ma di popolo, e quindi il rifiuto della continua deriva di linguaggio, cultura, destino, è un diritto affinché tutto non vada ad estinguersi in un indifferenziato entropico. Aprendo lo scenario ad orizzonti storici più ampi le “grandi culture” dello specificatamente umano hanno sempre dovuto combattere contro l’omologazione che spegne la varianza creativa ed anche la nostra scelta, nello specifico del libro, è una scelta che lotta contro l’omologazione, ovvero un piccolo mattone al di là della nostra stessa avventura individuale. Immaginare un destino è una scelta quindi contro la distruzione del linguaggio operante verso una nuova possibile oggettività, proclama che potrebbe essere alquanto vago (od inutile) se non si seguisse il monito poundiano dell’aggiungere alla libertà di parola - oggi scaduta nell’assoluta insignificanza - la possibilità di incidere realmente nel tessuto comunicativo e civile. Con la fine del 900 in più l’oligopolio dei mezzi informativi sostiene un mondo monopolare ove si aprono ormai pochi spazi ed in questi nuovi pochi spazi, anche virtuali, bombardati dalla libertà massiva delle opinioni inconsistenti e ove tutti sono liberi di dire ciò che vogliono -tanto non conta assolutamente più nulla - ed ove il potere gioca sostanzialmente indisturbato sopra la babele delle lingue, si deve tornare a chiedere spiegazione ragionata e processo veritativo, contro il narcisismo ombelicale, inefficace e risibile. Si possono sostenere invece con convinzione i piccoli mondi della società che non vogliono ancora spegnere le fiammelle di ricerca e chiedere sempre - oltre l’arroganza, la stupidità e l’ottusità - positività di confronti sui veri problemi, che invece la cultura dominante vuole rimuovere. Per combattere l’universalizzazione esclusivista possiamo ancora seguire l’esempio “di Achille”, scegliendo il nostro destino. In tal senso il libro è un primo passo nella direzione giusta.
Giovannini, curatore del libro-manifesto, ha riassunto in poche battute struttura e scopo dell’iniziativa. Ha ribadito la compresenza formalmente accettata e sperabilmente operante di tre sostanziali culture: quella classico-deista, quella evangelica e quella nicciana-futurista-sovrumanista, con le relative legittime declinazioni, anche individuali o di gruppo, come cardini interni ed esterni della scelta in un popolo con una partecipazione al destino. Ha ribadito il carattere di estrema difficoltà dell’impresa che lotta contro uno scadere continuo delle condizioni esistenziali e sistemiche. Ha detto che il libro, oggettivamente ed innegabilmente realizzazione impensata ed infatti irrealizzata in questi ultimi trent’anni, pur essendo già il frutto di un programma serio e prolungato - oltre due anni di preparazione - risultato quindi non di squilli di trombe, appuntamenti puramente mediatici o di appelli alla nazione, tutti disperatamente velleitari, ma di un lavoro sobrio e rigoroso - è solo un primo passo proprio perché si è privilegiata, per ora, la partecipazione corale e la testimonianza più ampia. Seguono già percorsi di maggiore approfondimento teorico e di selezione e di più spinta organizzazione strutturale.
Si è aperto a tal punto il dibattito con il pubblico che ha portato a molte domande che hanno visto rispondere in sequenza sia Vaj che Giovannini. Una prima domanda è stata “a chi ci rivolgiamo?” Domanda in realtà molto coinvolgente ed a cui Vaj ha risposto allargando lo scenario alla disamina anche delle condizioni sociali ed economiche della società italiana ove la percentuale dei privilegiati a scapito dei non privilegiati si fa sempre più serrata e la logica di sistema precipita progressivamente da un’economia dello scambio ad una pura economia del denaro. A tal punto si determina una potenzialità-necessità di “trasmutazione dei valori”. In tal senso la risposta è: “ci rivolgiamo potenzialmente a tutti”. Giovannini ha voluto cogliere questo passaggio sulla “trasmutazione dei valori” come una prova provata della potenzialità di accordare i linguaggi: non per niente nelle nostre comunicazioni-invito per le presentazioni v’è scritto ad esergo “si impone dunque un mutamento di cuore... Gian Franco Lami”. Se riuscissimo, come in altre occasioni è stato sollecitato anche da altri intelligenti interlocutori, a svelare la patina nominalista delle sovente troppo insistite e compiaciute differenziazioni (una sorta d’anarcoidismo esteriorizzato molto modaiolo che non corrisponde al nostro mondo di valori e neanche spesso poi in realtà alla profonda inconscia vocazione interiore), potremmo cogliere l’elemento unificante e realmente vivificante, al di là delle legittime differenze di auto-formazione che si confermano - per ognuno e per tutti