Giuseppe Mendella "La Decima" recensione di Paolo Ruffilli

La decima

Nella più recente produzione poetica di Giuseppe Mendella si accentua una costante ricorrente, che è anche la cifra sempre più inconfondibile della sua poesia: un’interferenza continua del pensiero sull’immagine, che si traduce formalmente nell’andamento piano ma con una lingua “culta” e alta, nel tono discorsivo ma sostenuto, dentro l’intenzione lirica. Insomma si è fatta ancora più decisa in La decima (Edizioni del Leone) l’attitudine a tradurre il dato filosofico-riflessivo già forte nel passato in immagine poetica come incisa nella roccia, con un’attenzione a quello che l’autore chiama “l’accadimento conchiuso in sé” che si incarna in una parola robusta, “dantesca” (e non a caso ci troviamo, nella stragrande maggioranza dei componimenti, di fronte all’uso corrente dell’endecasillabo, in strofe prevalentemente di dieci versi).

Fatto è che la vena riflessiva e quella filosofica della poesia di Mendella determinano un tessuto poetico che, oltre l’immagine di cui è fatto minutamente, fonda il proprio retroterra di idee che generano parole. E la pregiudiziale di pensiero si fa, in maniera attiva, sostanza di poesia. A partire da una operatività della parola che, contro ogni “abuso dialettico”, nel segno di una “dialettica ragione” e contro la “contraddizione in termini”, si muove alla ricerca del vero. E “il ver di sé, sol di stesso esprime”, perciò si tratta di mettere in scacco la “distorta antinomìa” di vero-falso, per evitare appunto di “torcere i sensi di vero e di falso”.

Il “vero armonico”, dice l’autore, permea “l’universo intero” a tutti i livelli e in tutti i gradi, ma all’uomo, per quel limite di “guardar forma non sostanza” che acutamente Mendella puntualizza in uno dei componimenti, capita normalmente di distorcerlo. È per l’incertezza che continuamente ci fa oscillare “tra vero memore e vero oggettivo, / tra vero personale e vero plurimo”, ecco la nostra approssimazione sempre per difetto, il nostro sguardo miope e astigmatico.

Del resto lo “svagato mondo occidentale” vive nella contraddizione di “essenza e ragione” caratterizzato da una “razionale foia assunta a emblema”. E nella nostra pratica quotidiana di “realtà, concretezza, fantasia” spesso amiamo abbigliarci di una “rozza maglia illogica” nella costante del “trionfo irrazionale”, dominante collettiva sotto gli occhi di tutti e rispetto a cui dobbiamo (o dovremmo) combattere la battaglia individuale della presa di coscienza.... C

LITERARY

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