....Penati nonostante sia braccato dalla procura di Monza che indaga su corruzione e concussione, di lasciare il suo seggio di consigliere con lauto stipendio e benefit non ci pensa proprio.
Ma la questione non è solo personale. «I bilanci di Bersani? Li certificava Penati!», twitta velenoso il presidente dei senatori del Pdl Maurizio Gasparri. E la battuta fa più male di un documentato e magari illeggibile pamphlet che ricostruisca i rapporti tra Pier Luigi Bersani, il segretario del Pd allora candidato alle primarie e Filippo Penati, allora addetto all’organizzazione della campagna elettorale e poi premiato con i gradi di capo della segreteria. Il tutto mentre, secondo i pm Walter Mapelli e Franca Macchia, proprio Penati era il gran burattinaio di quel «sistema Sesto» che nell’ex Stalingrado d’Italia intrecciava mazzette ai politici compiacenti e appalti agli imprenditori rampanti. Un gran vortice di denaro che qualcuno ora vorrebbe finito solo nelle tasche sue e della sua cricca, ma che i magistrati stanno cercando di scoprire se non sia finito anche (o soprattutto) nelle casse del Pd.
Sempre pronto a scandalizzarsi quando i problemi li hanno gli altri, ma non altrettanto a far pulizia a casa propria. Perché ora è facile far dell’ironia sulla «cresta» fatta da Renzo Bossi sulle note spese della Lega, ma non altrettanto a riconoscere che si tratterebbe di ben poca cosa a confronto delle tangenti milionarie girate a Sesto san Giovanni per un decennio. Fatti confermati nelle denunce dagli imprenditori oggi stanchi di pagare.
Il fatto è che Bossi jr, come già ha fatto papà, ieri ha avuto il coraggio di dare le dimissioni. Come avrebbe potuto anche pensare di restare al suo posto, si stracciano le vesti a sinistra, con quel mare di fango che minaccia di sommergerlo? Sarà anche vero, ma allora perché altrettanta indignazione non è riservata a Penati? Con annesso invito alle dimissioni? Per la verità una voce anche a sinistra si è sentita. Ma una sola.
Terribilmente fuori dal coro. È quella di Stefano Boeri, l’indisciplinato assessore della giunta Pisapia. «Renzo Bossi - ha scritto su Facebook - non indagato, ma sospettato di aver usato i soldi pubblici del finanziamento ai partiti per suo uso personale, si è dimesso. Beh... forse non è il caso di farsi dare lezioni dal “trota”. I suoi colleghi indagati, a partire da Filippo Penati e da Davide Boni, ci riflettano bene; le dimissioni da consigliere non sono un atto dovuto, ma certo sarebbero un gesto nobile e sicuramente apprezzato dagli elettori lombardi. Mi sbaglio?». Una voce rimasta isolata. Ma che ha costretto Penati a dare un segno. «Ricordo che mi sono dimesso dalla carica di vicepresidente del consiglio e ho lasciato tutti gli incarichi nel Partito democratico». Nulla più di un catenaccio per evitare di parlare delle vere dimissioni. Quelle da consigliere che gli portano in tasca oltre 10mila euro al mese di stipendio (ovviamente netti), più benefit e staff personale. Perché va ricordato che le finte dimissioni sono una vera beffa: ora il Gruppo misto con Penati unico consigliere costa 215mila euro tra spese di funzionamento, rappresentanza e pubbliche relazioni.... C
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