http://www.ilmamilio.it/m/it/rubriche/mamilio-social/30-attualita/23884-marinetti,-il-genio-che-intu%C3%AC-la-velocit%C3%A0-moderna.html
by F. Giusti
Marinetti, il genio che intuì la velocità moderna
ITALIA – Il 2 dicembre del 1944 moriva a Bellagio un precursore dei nostri tempi Se potesse tornare in vita, oggi Filippo Tommaso Marinetti guarderebbe con una certa soddisfazione a quello che siamo diventati. Non come genere umano, sia ben chiaro. Sorriderebbe alle nuove tecnologie, alla velocità che incarna i ritmi delle città, alla continua ricerca di una comunicazione orizzontale che tutto ingloba e tutto fa girare vorticosamente ogni giorno. Lui aveva visto oltre cento anni fa dove saremmo andati a finire, con quali mezzi, su quali basi. E con in mano uno smartphone magari si inventerebbe un altro modo di cambiare la cultura e quindi il mondo. Chissà.
Sta di fatto che Filippo Tommaso Marinetti, morto il 2 dicembre del 1944 in un'Italia devastata dalla guerra e in piena guerra civile, a Bellagio, sul lago di Como, fermato dal suo cuore e dopo non aver rinunciato a combattere - ultrasessantenne - sul fronte russo, non può tornare tra noi e non sapremo mai che riflessione farebbe di questa Italia nata sulle ceneri anche del suo mondo. Sappiamo quel che fece in vita, quello che di tanto ci donò, il genio che lo animò, le sue idee di guerriglia che sconvolsero l'Europa agli inizi del novecento. E questo ci basta.
La cultura italiana, almeno quella del primo inizio novecento e per tutta la prima metà di questo secolo, può essere classificata in prima e dopo Marinetti. Fu un poeta e uno scrittore dinamico, che passò dalla sperimentazione al liberty francese colloquiando con tutto il mondo letterario del suo tempo, non affrancandosi mai da scontri feroci e polemiche, fino alla nascita della sua creatura più conosciuta, il Futurismo, movimento che segnò ufficialmente la fine della ''Bella epoque'' e dell'ottocento. Con lui pittori ed artisti illuminati e di enorme talento, come Umberto Boccioni e Carlo Carrà, o poeti del calibro di Aldo Palazzeschi. L'innovazione e la provocazione del Futurismo di Marinetti crearono una nuova Italia (che si lanciò nelle braccia Fascismo), ma in un contesto storico che fece proseliti nella Russia prestalinista che gli preferì in seguito il realismo di regime. Un movimento di rottura, il suo, che non disdegnò di finire in duelli e dispute di ogni tipo, in serate tumultuose e risse clamorose.
D'altronde il gusto della sfida Marinetti lo assaggiò da subito, da quando a 17 anni fondò la sua prima rivista scolastica, Papyrus. I gesuiti lo minacciarono di espulsione per aver introdotto a scuola gli scandalosi romanzi di Émile Zola. Poi si diplomò a Parigi, dove ottenne il Baccalaureato nel 1893. Amante della velocità, nel 1908 Marinetti finisce in un fossato con la sua Isotta Fraschini per evitare due ciclisti. L'episodio lo ispira per la nascita Manifesto del futurismo, che esce in ritardo a causa della eco del terribile terremoto di Messina.
''Distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d'ogni specie'' oppure «cantare le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa glorificare la guerra — sola igiene del mondo —, il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore del libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna'': Marinetti, attraverso le sue provocazioni, comincia così la sua battaglia. Scandalizzare l'opinione pubblica per lui è un modo per alzare il livello dello scontro. Esagerare, anche, per puntare l'attenzione su di sé e su tutto un movimento di artisti che vuole cambiare una società troppo agganciata al secolo precedente. In realtà Marinetti non disprezza le donne (avrà moglie e figlie) e conosce la realtà della guerra, nelle biblioteche ci era stato, nei musei finiranno le opere del suo movimento. Ma in quel momento è necessario pungolare, scuotere l'intera nazione.
Quando il 20 gennaio del 1909, il Manifesto viene pubblicato sulla prima pagina del più prestigioso quotidiano francese, Le Figaro, il poeta conferisce alla sua idea una propulsione europea. Ed è qui che comincia una nuova storia, permeata di quel grande sogno di fare della vita un'opera d'arte e di cambiare, solo attraverso l'arte, tutte le dinamiche dell'esistenza quotidiana: dall'architettura alla cucina, dal teatro alla musica. I giovani, in questo modo, diventano i protagonisti dell'impresa. Un vivaio di talenti e di sostenitori che tornano utilissimi nel momento in cui Gravilo Princip a Sarajevo spara e uccide l'arcideuca Francesco Ferdinando. Scoppia la prima guerra mondiale e Marinetti non esita a schierarsi a favore dell'intervento contro l'Austria e la Germania. E' l'attimo della storia, a suo modo di vedere, per cambiare non solo l'Italia ma anche l'Europa, contro le monarchie e gli imperi che la assediano. Viene persino arrestato per aver bruciato bandiere austriache in piazza del Duomo a Milano, quindi si arruola volontario (in un battaglione di ciclisti) come tanti dei suoi artisti. Ferito, mentre è in convalescenza crea un libretto che ottiene un clamoroso successo: ''Come si seducono le donne''. Torna sul fronte, partecipa alla disfatta di Caporetto e alla trionfale avanzata di Vittorio Veneto al volante di un'autoblindo.
Terminata la guerra, Marinetti è convinto che sia giunto il momento di fare la rivoluzione. Nel frattempo sul campo di battaglia ha perso due tra i suoi ''fratelli'' più cari: Umberto Boccioni e Antonio San'Elia. Sono caduti entrambi sul campo di battaglia. Per loro, ma anche per tutti quei soldati che sentono profonda la delusione per la cosiddetta "vittoria mutilata", partecipa all'impresa fiumana, anche se alla fine abbandona la città in contrasto con colui che ha mosso la spedizione: Gabriele D'Annunzio, l'altro ''divo'' di quegli anni.
Marinetti decide di gettarsi nell'agone politico. Fonda il Partito Politico Futurista. Vuole ''svaticanizzare l'Italia", dar vita alla repubblica, distribuire le terre ai combattenti, lottare contro l'analfabetismo e a favore del suffragio universale. Il 23 marzo1919 partecipa con Mussolini all'adunata di piazza San Sepolcro a Milano per la fondazione dei socialisteggianti Fasci di combattimento. Sono gli anni 'eroici' del movimento, ma anche quelli in cui inizia la fase di normalizzazione dell'arte che ha preso vita da questi anni di trincee metaforiche e reali.
Pur ribadendo l'originalità del futurismo rispetto al fascismo, Marinetti rimane scontento della svolta reazionaria impressa da Mussolini dopo la sconfitta elettorale del novembre 1919. Scrive ''Al di là del Comunismo'' e nel 1920 interviene al secondo congresso dei Fasci insistendo sulle sue idee anticlericali e per l'abolizione della monarchia. Però la politica dei fascisti sta marciando, nel vero senso della parola, esattamente dalla parte opposta. Marinetti si dimette e si allontanerà gradualmente dal progetto. Se ne riaccosta dopo la Marcia su Roma, forse in un ritrovato entusiasmo di poter almeno portare a termine - come avrebbe detto in seguito - ''il programma minimo'' dei suoi concetti. Il regime lo istituzionalizza, dedicandogli importanti onorificenze nazionali e inserendolo nell'Accademia d'Italia. Dalla sua ''tribuna'' di artista riconosciuto, non manca di alcune posizioni critiche nei confronti del regime, sia nel dibattito sull'''arte degenerata'' (moderna) odiata dai gerarchi di Hitler e sia, nel 1938, sulla rivista futurista Artecrazia, contro l'antisemitismo e le leggi razziali.
Marinetti era innanzitutto un uomo di principi. Fedele alle sue convinzioni, partecipa come volontario alla guerra di Etiopia (1936) e quindi, a sessantasei anni, alla disastrosa spedizione dell'ARMIR in Russia. Ne racconta le esperienze in ''Il poema africano della Divisione "28 ottobre" e in ''Originalità russa di masse distanze radiocuori''. Sul piano fisico, però, ne esce minato. Tornato in Italia, aderisce alla Repubblica Sociale Italiana. L'avventura, decadente e definitiva, gli ricorda le origini di Piazzale San Sepolcro. Il 2 dicembre del 1944 muore, per arresto cardiaco. Il grande poeta americano Ezra Pound, gli dedicò questi versi: ''Già vecchio il mio corpo, Tomaso/ E poi, dove andrei? Ne ho bisogno io del corpo./ Ma ti darò posto nel Canto, ti darò la parola, a te./ Ma se vuoi ancora combattere, va; piglia qualche giovinotto./ 'Pigliate hualche ziovinozz' imbelle e imbecille/ Per fargli un po' di coraggio, per dargli un po' di cervello,/ Per dare all'Italia ancora un eroe fra tanti/ Così puoi rinascere, così diventare pantera''.
Ancor oggi, Marinetti divide gli storici e gli uomini di cultura. Deestra e sinistra se lo sono conteso, lo hanno vivisezionato per convenienza. Chi lo amato per il suo patriottismo, chi esclusivamente per la sua arte, chi per la sua adesione agli ultimi giorni del fascismo, chi invece per le sue ribellioni interne al Regime e chi per la sua voglia di rompere gli schemi. Per la verità sarebbe bene abbracciarlo, in senso metaforico, per tutto quello che è stato ed ha significato - al di là dei pareri soggettivi - per la storia, la cultura ed il costume della nostra nazione. Un valore assoluto, che con il tempo ha varcato fortunatamente gli steccati. Come giusto che sia.
by F. Giusti
Marinetti, il genio che intuì la velocità moderna
ITALIA – Il 2 dicembre del 1944 moriva a Bellagio un precursore dei nostri tempi Se potesse tornare in vita, oggi Filippo Tommaso Marinetti guarderebbe con una certa soddisfazione a quello che siamo diventati. Non come genere umano, sia ben chiaro. Sorriderebbe alle nuove tecnologie, alla velocità che incarna i ritmi delle città, alla continua ricerca di una comunicazione orizzontale che tutto ingloba e tutto fa girare vorticosamente ogni giorno. Lui aveva visto oltre cento anni fa dove saremmo andati a finire, con quali mezzi, su quali basi. E con in mano uno smartphone magari si inventerebbe un altro modo di cambiare la cultura e quindi il mondo. Chissà.
Sta di fatto che Filippo Tommaso Marinetti, morto il 2 dicembre del 1944 in un'Italia devastata dalla guerra e in piena guerra civile, a Bellagio, sul lago di Como, fermato dal suo cuore e dopo non aver rinunciato a combattere - ultrasessantenne - sul fronte russo, non può tornare tra noi e non sapremo mai che riflessione farebbe di questa Italia nata sulle ceneri anche del suo mondo. Sappiamo quel che fece in vita, quello che di tanto ci donò, il genio che lo animò, le sue idee di guerriglia che sconvolsero l'Europa agli inizi del novecento. E questo ci basta.
La cultura italiana, almeno quella del primo inizio novecento e per tutta la prima metà di questo secolo, può essere classificata in prima e dopo Marinetti. Fu un poeta e uno scrittore dinamico, che passò dalla sperimentazione al liberty francese colloquiando con tutto il mondo letterario del suo tempo, non affrancandosi mai da scontri feroci e polemiche, fino alla nascita della sua creatura più conosciuta, il Futurismo, movimento che segnò ufficialmente la fine della ''Bella epoque'' e dell'ottocento. Con lui pittori ed artisti illuminati e di enorme talento, come Umberto Boccioni e Carlo Carrà, o poeti del calibro di Aldo Palazzeschi. L'innovazione e la provocazione del Futurismo di Marinetti crearono una nuova Italia (che si lanciò nelle braccia Fascismo), ma in un contesto storico che fece proseliti nella Russia prestalinista che gli preferì in seguito il realismo di regime. Un movimento di rottura, il suo, che non disdegnò di finire in duelli e dispute di ogni tipo, in serate tumultuose e risse clamorose.
D'altronde il gusto della sfida Marinetti lo assaggiò da subito, da quando a 17 anni fondò la sua prima rivista scolastica, Papyrus. I gesuiti lo minacciarono di espulsione per aver introdotto a scuola gli scandalosi romanzi di Émile Zola. Poi si diplomò a Parigi, dove ottenne il Baccalaureato nel 1893. Amante della velocità, nel 1908 Marinetti finisce in un fossato con la sua Isotta Fraschini per evitare due ciclisti. L'episodio lo ispira per la nascita Manifesto del futurismo, che esce in ritardo a causa della eco del terribile terremoto di Messina.
''Distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d'ogni specie'' oppure «cantare le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa glorificare la guerra — sola igiene del mondo —, il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore del libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna'': Marinetti, attraverso le sue provocazioni, comincia così la sua battaglia. Scandalizzare l'opinione pubblica per lui è un modo per alzare il livello dello scontro. Esagerare, anche, per puntare l'attenzione su di sé e su tutto un movimento di artisti che vuole cambiare una società troppo agganciata al secolo precedente. In realtà Marinetti non disprezza le donne (avrà moglie e figlie) e conosce la realtà della guerra, nelle biblioteche ci era stato, nei musei finiranno le opere del suo movimento. Ma in quel momento è necessario pungolare, scuotere l'intera nazione.
Quando il 20 gennaio del 1909, il Manifesto viene pubblicato sulla prima pagina del più prestigioso quotidiano francese, Le Figaro, il poeta conferisce alla sua idea una propulsione europea. Ed è qui che comincia una nuova storia, permeata di quel grande sogno di fare della vita un'opera d'arte e di cambiare, solo attraverso l'arte, tutte le dinamiche dell'esistenza quotidiana: dall'architettura alla cucina, dal teatro alla musica. I giovani, in questo modo, diventano i protagonisti dell'impresa. Un vivaio di talenti e di sostenitori che tornano utilissimi nel momento in cui Gravilo Princip a Sarajevo spara e uccide l'arcideuca Francesco Ferdinando. Scoppia la prima guerra mondiale e Marinetti non esita a schierarsi a favore dell'intervento contro l'Austria e la Germania. E' l'attimo della storia, a suo modo di vedere, per cambiare non solo l'Italia ma anche l'Europa, contro le monarchie e gli imperi che la assediano. Viene persino arrestato per aver bruciato bandiere austriache in piazza del Duomo a Milano, quindi si arruola volontario (in un battaglione di ciclisti) come tanti dei suoi artisti. Ferito, mentre è in convalescenza crea un libretto che ottiene un clamoroso successo: ''Come si seducono le donne''. Torna sul fronte, partecipa alla disfatta di Caporetto e alla trionfale avanzata di Vittorio Veneto al volante di un'autoblindo.
Terminata la guerra, Marinetti è convinto che sia giunto il momento di fare la rivoluzione. Nel frattempo sul campo di battaglia ha perso due tra i suoi ''fratelli'' più cari: Umberto Boccioni e Antonio San'Elia. Sono caduti entrambi sul campo di battaglia. Per loro, ma anche per tutti quei soldati che sentono profonda la delusione per la cosiddetta "vittoria mutilata", partecipa all'impresa fiumana, anche se alla fine abbandona la città in contrasto con colui che ha mosso la spedizione: Gabriele D'Annunzio, l'altro ''divo'' di quegli anni.
Marinetti decide di gettarsi nell'agone politico. Fonda il Partito Politico Futurista. Vuole ''svaticanizzare l'Italia", dar vita alla repubblica, distribuire le terre ai combattenti, lottare contro l'analfabetismo e a favore del suffragio universale. Il 23 marzo1919 partecipa con Mussolini all'adunata di piazza San Sepolcro a Milano per la fondazione dei socialisteggianti Fasci di combattimento. Sono gli anni 'eroici' del movimento, ma anche quelli in cui inizia la fase di normalizzazione dell'arte che ha preso vita da questi anni di trincee metaforiche e reali.
Pur ribadendo l'originalità del futurismo rispetto al fascismo, Marinetti rimane scontento della svolta reazionaria impressa da Mussolini dopo la sconfitta elettorale del novembre 1919. Scrive ''Al di là del Comunismo'' e nel 1920 interviene al secondo congresso dei Fasci insistendo sulle sue idee anticlericali e per l'abolizione della monarchia. Però la politica dei fascisti sta marciando, nel vero senso della parola, esattamente dalla parte opposta. Marinetti si dimette e si allontanerà gradualmente dal progetto. Se ne riaccosta dopo la Marcia su Roma, forse in un ritrovato entusiasmo di poter almeno portare a termine - come avrebbe detto in seguito - ''il programma minimo'' dei suoi concetti. Il regime lo istituzionalizza, dedicandogli importanti onorificenze nazionali e inserendolo nell'Accademia d'Italia. Dalla sua ''tribuna'' di artista riconosciuto, non manca di alcune posizioni critiche nei confronti del regime, sia nel dibattito sull'''arte degenerata'' (moderna) odiata dai gerarchi di Hitler e sia, nel 1938, sulla rivista futurista Artecrazia, contro l'antisemitismo e le leggi razziali.
Marinetti era innanzitutto un uomo di principi. Fedele alle sue convinzioni, partecipa come volontario alla guerra di Etiopia (1936) e quindi, a sessantasei anni, alla disastrosa spedizione dell'ARMIR in Russia. Ne racconta le esperienze in ''Il poema africano della Divisione "28 ottobre" e in ''Originalità russa di masse distanze radiocuori''. Sul piano fisico, però, ne esce minato. Tornato in Italia, aderisce alla Repubblica Sociale Italiana. L'avventura, decadente e definitiva, gli ricorda le origini di Piazzale San Sepolcro. Il 2 dicembre del 1944 muore, per arresto cardiaco. Il grande poeta americano Ezra Pound, gli dedicò questi versi: ''Già vecchio il mio corpo, Tomaso/ E poi, dove andrei? Ne ho bisogno io del corpo./ Ma ti darò posto nel Canto, ti darò la parola, a te./ Ma se vuoi ancora combattere, va; piglia qualche giovinotto./ 'Pigliate hualche ziovinozz' imbelle e imbecille/ Per fargli un po' di coraggio, per dargli un po' di cervello,/ Per dare all'Italia ancora un eroe fra tanti/ Così puoi rinascere, così diventare pantera''.
Ancor oggi, Marinetti divide gli storici e gli uomini di cultura. Deestra e sinistra se lo sono conteso, lo hanno vivisezionato per convenienza. Chi lo amato per il suo patriottismo, chi esclusivamente per la sua arte, chi per la sua adesione agli ultimi giorni del fascismo, chi invece per le sue ribellioni interne al Regime e chi per la sua voglia di rompere gli schemi. Per la verità sarebbe bene abbracciarlo, in senso metaforico, per tutto quello che è stato ed ha significato - al di là dei pareri soggettivi - per la storia, la cultura ed il costume della nostra nazione. Un valore assoluto, che con il tempo ha varcato fortunatamente gli steccati. Come giusto che sia.