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Nei livelli archeologici del sito di Isernia La Pineta, risalenti a circa 600 mila anni fa, è stato rinvenuto un dente di bambino che, allo stato attuale delle ricerche, rappresenta il più antico resto umano della Penisola Italiana, grazie agli scavi condotti in collaborazione tra Soprintendenza per i Beni Archeologici del Molise e l'Università di Ferrara, con la direzione scientifica di Carlo Peretto, professore ordinario del Dipartimento di studi umanistici di Unife, tuttora titolare della concessione di scavo rilasciata dal Ministero dei beni e le attività culturali e del turismo.
Si tratta di un primo incisivo superiore sinistro da latte di un bambino deceduto all'età di circa 5-6 anni. Il dente mostra caratteristiche particolari che non si ritrovano negli altri reperti rinvenuti in Europa, seppur riconducibili a un ampio contesto cronologico. Da questi si discosta perché più gracile e meno bombato.
Il reperto rinvenuto viene attribuito a Homo heidelbergensis sulla base delle sue caratteristiche, per le sue dimensioni e per la sua età cronologica. In Europa, infatti, Homo heidelbergensis è attestato a partire da circa 600 mila anni e rappresenta l'antenato dell'Uomo di Neanderthal che si diffonde successivamente in tutta Europa e che scompare in seguito alla diffusione dell'Uomo anatomicamente moderno (Homo sapiens) almeno a partire da 40.000 anni fa.
Il dente umano rinvenuto a Isernia rappresenta una scoperta straordinaria in quanto permette di fare luce sulla variabilità di Homo heidelbergensis, che sembra essere molto pronunciata, e di sottolineare la peculiarità dei resti umani italiani più recenti che mostrano spesso una persistenza di caratteri arcaici se confrontati al resto dell'Europa.
Da sottolineare che i reperti umani in ambito europeo più antichi di 600 mila anni non sono frequenti. Particolare significato rivestono i ritrovamenti attribuiti a Homo antecessor (Atapuerca vicino Burgos in Spagna) compresi in un arco cronologico tra 1,2 e 0,7 milioni di anni fa.
L'olotipo di Homo heidelbergenis è rappresentato dalla mandibola rinvenuta a Mauer in Germania con una attribuzione cronologica di circa 600 mila anni fa.
Il ritrovamento umano a La Pineta porta un arricchimento notevole al giacimento, già noto per la complessità delle archeosuperfici esplorate in questi anni, per la ricchezza dei reperti faunistici, per l'articolata produzione di reperti in selce e per le evidenze connesse con le strategie di sussistenza in un ambiente di 600.000 anni fa.
Alle numerose informazioni che si è potuto trarre con lo scavo e lo studio dei materiali, ora si aggiungono quelle importanti sulle caratteristiche fisiche del protagonista dell'insediamento paleolitico e quanto è stato esplorato, recuperato, restaurato e studiato in tanti anni di lavoro acquista ora una dimensione ancora più umana.
Giovedì 24 luglio alle ore 17 nella sala polivalente del Museo del Paleolitico di La Pineta di Isernia, via Ramiera Vecchia, verranno presentati gli ultimi risultati delle ricerche, le analisi in corso del reperto umano, i futuri sviluppi della presentazione museale del giacimento paleolitico e le più recenti pubblicazioni scientifiche e divulgative.
Il giacimento fu scoperto nel 1978 e dal 1979 scavato sistematicamente in stretta collaborazione tra Soprintendenza per i Beni Archeologici del Molise e l'Università degli Studi di Ferrara, con la direzione scientifica del professor Carlo Peretto, tuttora titolare della concessione di scavo rilasciata dal Ministero dei beni e le attività culturali e del turismo. Numerosi ricercatori provenienti da Istituzioni italiane e internazionali hanno contribuito allo studio del giacimento ed in particolare delle migliaia di reperti provenienti dalle attività di esplorazione. Decine e decine sono le pubblicazioni scientifiche e divulgative che hanno favorito la valorizzare del sito preistorico e la sua conoscenza in ambito internazionale.