IL MURO CINQUANT'ANNI DOPO
All'alba di cinquant'anni fa, la popolazione berlinese si risvegliò con la spiacevole sorpresa che solo un topo in trappola può provare:durante la notte, i soldati dell'esercito della DDR avevano eretto il filo spinato lungo il confine tra le due Berlino, Est e Ovest, prima fase della costruzione di quel muro che avrebbe tenuto i berlinesi separati per quasi un trentennio.
Su quell'episodio è stato scritto di tutto, da Il cielo diviso a Non si può dividere il cielo, dalle testimonianze di quanti hanno visto amici e familiari uccisi dai Vopos a quanti oggi sono nel pieno di quella sindrome di Stoccolma chiamata Östalgie, passando per le produzioni cinematografiche di Goodbye Lenin a quelle di tutt'altra natura in Le vite degli altri.
Di sicuro c'è stato lo shock di un'intera nazione che, improvvisamente, s'è vista togliere anche l'ultimo, umano e naturale, diritto che le era rimasto, quello di far crescere il più serenamente possibile una famiglia nonostante tutto e tutti.
Si trattava di una generazione di donne e uomini straziati, piegati, umiliati e, per l'ennesima volta, incolpati della tragedia della seconda guerra mondiale, molti dei quali avevano perso genitori, amici, parenti e, magari, sotto gli occhi oppure vanamente in attesa di un loro ritorno dal fronte, che non ci sarebbe mai stato.
Tra tutte le produzioni artistiche sul tema, quella che più di ogni altra ha inciso nell'inconscio di chi scrive, ma non solo suo, è la grandiosa opera cine – musicale dei Pink Floyd, in collaborazione con il regista Alan Parker ed il disegnatore Gerald Scarfe, The wall, capace di sintetizzare come poche altre manifestazioni, contemporanee o postume, tutto il coacervo di situazioni, emozioni, stati d'animo e costumi di un'intera epoca, quella che va, appunto, dagli ultimi anni di guerra (il padre di Roger Waters, bassista e cantante del gruppo, morì proprio durante la battaglia di Anzio, episodio al quale è legata la struggente ed epica When the tigers broke free) alla costruzione selvaggia delle attuali città e metropoli contemporanee, grige e solipsistiche nel loro anonimato.
Uno dei temi dell'opera, forse il più celebre e celebrato ( giustamente sotto molti punti di vista ), è quello della pedagogia nera e della scuola che ne è derivata.
Dimentichi della migliore tradizione educativa europea, dalla paideia greca allo spirito di ricerca illuminista, passando per la cultura dello scambio tra allievi e docenti nelle facoltà teologiche medievali, gli adulti della seconda metà dell'Ottocento, genitori, insegnanti, istruttori di ogni rango e disciplina, fecero del rigore e della repressione la base del loro operato.
Analogamente alla crescita della logica di guerra, che dall'imperialismo avrebbe portato a ben due guerre mondiali e ai sistemi totalitari, per un secolo circa si affermò l'idea che il bambino fosse una sorta di tabula rasa su cui scrivere precetti indiscutibili e funzionali alla continua riaffermazione dei valori e dei modelli dominanti, senza il minimo ostacolo o la più timida critica alla loro imposizione dall'alto.
Conseguentemente a questa mission, il formatore non si curava di essere più autorevole che autoritario e, per molto tempo, furono previste e adoperate le stesse metodologie punitive corporali, di cui sono pieni i romanzi di autori simbolo come Charles Dickens.
Se dal punto di vista della crescente militarizzazione della società questa tendenza non poteva che portare al fanatismo e alla subordinazione costante, deleterio è il risvolto psicologico cui tutta quella generazione dovette far fronte, spesso senza poterci riuscire.
Ovviamente – e qui l'opera considerata è fondamentale per capirne i collegamenti – c'è un fil rouge che lega il sistema educativo della repressione alla chiusura mentale e all'irrigidimento ideologico, dovuto alla continua frustrazione della creatività che è insita in ogni giovane.
De Montaigne, già in pieno Rinascimento, scriveva: “I ragazzi non sono bottiglie da riempire ma fuochi da accendere” e in tempi più attuali Rita Levi Montalcini, con il suo spirito acutamente ironico, ha ricordato che “i bambini sono sempre più intelligenti dei pediatri dai quali li portate”, consapevole che con l'avanzare dell'età si va inevitabilmente incontro al graduale processo degenerativo neurale.
A rimettere quell'impostazione così rigida in discussione, si sa, fu il movimento di contestazione studentesca del Sessantotto, guarda caso fermato non tanto dalla repressione poliziesca quanto dalla luciferina somministrazione di quell'arma di distruzione di massa cerebrale chiamata “droga” ( si veda la puntata di Blu notte misteri italiani su OSS, Gladio e CIA ).
Oggi sono molti i detrattori di quell'evento epocale, non sempre del tutto a torto, ma al di là delle ingenuità e dei limiti insiti in ogni iniziativa umana, quell'esperimento sociale ebbe il merito di coltivare un sogno, traducibile nella famosa formula: “Portare la fantasia al potere”.
Un sogno così forte che ancora oggi non è del tutto sopito e, anzi, annovera tra i suoi sostenitori ed interpreti anche tutti quegli operatori dell'educazione che cercano d'incoraggiarli e valorizzarli, i nostri ragazzi, che sono pronti ad ascoltarli e ad imparare da loro perchè, come emerge da un intellettuale dimenticato come Gentile, quello dell'educazione è uno spazio sacro, dove l'insegnamento è più importante dello stesso insegnante, qualcosa di talmente grande da inglobare nella sua attualizzazione tanto discente quanto docente, entrambi piacevolmente sopraffatti dalla forza dello Spirito di ciò che viene insegnato.
I Cinquant'anni dal Muro ci servano, allora, a porci la domanda fondamentale sul nostro futuro, collettivo e individuale: “Siamo più dalla parte di chi erige muri o cerchiamo di stare con coloro che in qualche angolo di mondo stanno costruendo ponti?”.
Mezzo secolo è passato da quel 13 agosto, vent'anni dalla sua caduta ma, Da Cipro Nord alla Corea, passando per Tihuaca e Tel Aviv, i muri sono addirittura aumentati e non sono più soltanto di terra.
Tuttavia, il terzo millennio s'è aperto con una grande invenzione, la Rete, ed una decisiva scoperta scientifica, quella dei neuroni specchio, la cui portata dev'essere ancora ben compresa e assimilata: c'è ancora speranza nel pianeta Terra!
All'alba di cinquant'anni fa, la popolazione berlinese si risvegliò con la spiacevole sorpresa che solo un topo in trappola può provare:durante la notte, i soldati dell'esercito della DDR avevano eretto il filo spinato lungo il confine tra le due Berlino, Est e Ovest, prima fase della costruzione di quel muro che avrebbe tenuto i berlinesi separati per quasi un trentennio.
Su quell'episodio è stato scritto di tutto, da Il cielo diviso a Non si può dividere il cielo, dalle testimonianze di quanti hanno visto amici e familiari uccisi dai Vopos a quanti oggi sono nel pieno di quella sindrome di Stoccolma chiamata Östalgie, passando per le produzioni cinematografiche di Goodbye Lenin a quelle di tutt'altra natura in Le vite degli altri.
Di sicuro c'è stato lo shock di un'intera nazione che, improvvisamente, s'è vista togliere anche l'ultimo, umano e naturale, diritto che le era rimasto, quello di far crescere il più serenamente possibile una famiglia nonostante tutto e tutti.
Si trattava di una generazione di donne e uomini straziati, piegati, umiliati e, per l'ennesima volta, incolpati della tragedia della seconda guerra mondiale, molti dei quali avevano perso genitori, amici, parenti e, magari, sotto gli occhi oppure vanamente in attesa di un loro ritorno dal fronte, che non ci sarebbe mai stato.
Tra tutte le produzioni artistiche sul tema, quella che più di ogni altra ha inciso nell'inconscio di chi scrive, ma non solo suo, è la grandiosa opera cine – musicale dei Pink Floyd, in collaborazione con il regista Alan Parker ed il disegnatore Gerald Scarfe, The wall, capace di sintetizzare come poche altre manifestazioni, contemporanee o postume, tutto il coacervo di situazioni, emozioni, stati d'animo e costumi di un'intera epoca, quella che va, appunto, dagli ultimi anni di guerra (il padre di Roger Waters, bassista e cantante del gruppo, morì proprio durante la battaglia di Anzio, episodio al quale è legata la struggente ed epica When the tigers broke free) alla costruzione selvaggia delle attuali città e metropoli contemporanee, grige e solipsistiche nel loro anonimato.
Uno dei temi dell'opera, forse il più celebre e celebrato ( giustamente sotto molti punti di vista ), è quello della pedagogia nera e della scuola che ne è derivata.
Dimentichi della migliore tradizione educativa europea, dalla paideia greca allo spirito di ricerca illuminista, passando per la cultura dello scambio tra allievi e docenti nelle facoltà teologiche medievali, gli adulti della seconda metà dell'Ottocento, genitori, insegnanti, istruttori di ogni rango e disciplina, fecero del rigore e della repressione la base del loro operato.
Analogamente alla crescita della logica di guerra, che dall'imperialismo avrebbe portato a ben due guerre mondiali e ai sistemi totalitari, per un secolo circa si affermò l'idea che il bambino fosse una sorta di tabula rasa su cui scrivere precetti indiscutibili e funzionali alla continua riaffermazione dei valori e dei modelli dominanti, senza il minimo ostacolo o la più timida critica alla loro imposizione dall'alto.
Conseguentemente a questa mission, il formatore non si curava di essere più autorevole che autoritario e, per molto tempo, furono previste e adoperate le stesse metodologie punitive corporali, di cui sono pieni i romanzi di autori simbolo come Charles Dickens.
Se dal punto di vista della crescente militarizzazione della società questa tendenza non poteva che portare al fanatismo e alla subordinazione costante, deleterio è il risvolto psicologico cui tutta quella generazione dovette far fronte, spesso senza poterci riuscire.
Ovviamente – e qui l'opera considerata è fondamentale per capirne i collegamenti – c'è un fil rouge che lega il sistema educativo della repressione alla chiusura mentale e all'irrigidimento ideologico, dovuto alla continua frustrazione della creatività che è insita in ogni giovane.
De Montaigne, già in pieno Rinascimento, scriveva: “I ragazzi non sono bottiglie da riempire ma fuochi da accendere” e in tempi più attuali Rita Levi Montalcini, con il suo spirito acutamente ironico, ha ricordato che “i bambini sono sempre più intelligenti dei pediatri dai quali li portate”, consapevole che con l'avanzare dell'età si va inevitabilmente incontro al graduale processo degenerativo neurale.
A rimettere quell'impostazione così rigida in discussione, si sa, fu il movimento di contestazione studentesca del Sessantotto, guarda caso fermato non tanto dalla repressione poliziesca quanto dalla luciferina somministrazione di quell'arma di distruzione di massa cerebrale chiamata “droga” ( si veda la puntata di Blu notte misteri italiani su OSS, Gladio e CIA ).
Oggi sono molti i detrattori di quell'evento epocale, non sempre del tutto a torto, ma al di là delle ingenuità e dei limiti insiti in ogni iniziativa umana, quell'esperimento sociale ebbe il merito di coltivare un sogno, traducibile nella famosa formula: “Portare la fantasia al potere”.
Un sogno così forte che ancora oggi non è del tutto sopito e, anzi, annovera tra i suoi sostenitori ed interpreti anche tutti quegli operatori dell'educazione che cercano d'incoraggiarli e valorizzarli, i nostri ragazzi, che sono pronti ad ascoltarli e ad imparare da loro perchè, come emerge da un intellettuale dimenticato come Gentile, quello dell'educazione è uno spazio sacro, dove l'insegnamento è più importante dello stesso insegnante, qualcosa di talmente grande da inglobare nella sua attualizzazione tanto discente quanto docente, entrambi piacevolmente sopraffatti dalla forza dello Spirito di ciò che viene insegnato.
I Cinquant'anni dal Muro ci servano, allora, a porci la domanda fondamentale sul nostro futuro, collettivo e individuale: “Siamo più dalla parte di chi erige muri o cerchiamo di stare con coloro che in qualche angolo di mondo stanno costruendo ponti?”.
Mezzo secolo è passato da quel 13 agosto, vent'anni dalla sua caduta ma, Da Cipro Nord alla Corea, passando per Tihuaca e Tel Aviv, i muri sono addirittura aumentati e non sono più soltanto di terra.
Tuttavia, il terzo millennio s'è aperto con una grande invenzione, la Rete, ed una decisiva scoperta scientifica, quella dei neuroni specchio, la cui portata dev'essere ancora ben compresa e assimilata: c'è ancora speranza nel pianeta Terra!