VASCO BRONDI

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VASCO BRONDI: MUSICA DA CAMERA, OSCURA.

“Erano anni che non mi divertivo così!” diceva un personaggio del film di Salvatores "Marrakech
Express", quando esausto stava per morire assetato nel Sahara.
Nel deserto umido ferrarese ho trovato una minuscola oasi dove si possono bere oltre ai liquori, anche le canzoni. Mi sono trascinato fin lì vincendo la sconfinata apatia che da anni mi tormenta, e ne è valsa la pena (o la penna).
Vi racconterò i visi, le unghie, gli aliti e le tette di quella serata.
Il bar è piccolo, un tetto di cielo dipinto di cortesia, un rumore pacato fatto di cellulari silenziosi, birra gradevole e vini rossi a poco prezzo. Questo posto si chiama Korova, ma mi sembra che non abbia nulla a che fare con lo stimato pub dove si serviva il glorioso Latte-più dell’Arancia Meccanica.
Qui si è esibito il Vasco del posto, si chiama davvero così, Vasco Brondi ed è stato uno splendore. Poiché la musica e la poesia non sono descrivibili dal mio fiacco ingegno, mi limiterò a fotografarvi il pubblico che ho visto.
Vasco è bello, giovane, basettoni lunghi e non curati, che nell’America anni settanta volevano dire libertà e sesso e ancora oggi qualcuno ci si vorrebbe appendere. Una folla di ragazze lo divorano con gli occhi, mentre i maschi lo esaminano rispettosi. Lui è un artista, i ragazzi lo ammettono, poi sconsolati, mentre fanno pipì, guardano avviliti quel coso che hanno tra le mani.
Ma sembriamo tutti felici.
Alcuni origliano i diversi accordi della chitarra con disaccordo, ma dimenticano che sono funzionali al testo, altri invece non coniugano le parole sussurrate - che creano sempre subbuglio - con l’enfasi del silenzio. Uno studente ricoperto di lana ha voglia di fumare, la sua ragazza invece si appoggia al banco per non sudare.
Il bar è pieno. La mia maledetta macchina fotografica mi ha lasciato nel “giorno dei morti”, chiedo ad un amico di riprendere la comunità che sta con il naso verso l’alto, perché è dal soppalco che Vasco canta. La sua voce si abbina con il Valpolicella mentre il bicchiere mi trastulla fra le sue dita – è il calice che mi sta inghiottendo - poi all’improvviso uno strillo, un lamento uscito dritto dal mio cranio mi ripeteva :“Ti porterei a fare un bagno dove affogano le petroliere”.
Mi accorgo allora che non sono parole che nascono da me. Ricompongo le idee nella mia malvagia mente , poi intuisco che sto riflettendo tramite le note che provengono dall’alto, con la musica di Vasco, e alla fine sto macchinando attraverso lui. Vasco mi persuade con volontà, bevo con impotenza liquore e rumore e, piacevolmente isolato, chiudo gli occhi.
“Erano anni che non mi divertivo così!”.
Sono passati quaranta minuti, un uomo ha detto la sua, Vasco Brondi fa crescere questa città, il nuovo umido si insedia, il resto è nebbia.

DAVID PALADA

8 dicembre 2008

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