12 NUOVI SCRITTORI

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DODICI GIOVANI NARRATORI FERRARESI

L’antologia è stata realizzata dal Gruppo Scrittori Ferraresi, col patrocinio del Comune di Ferrara-Assessorato alle Politiche per i Giovani. In effetti, l’introduttrice, Mascia Morsucci, è l’assessore di pertinenza. Mentre in quarta di copertina, la presidente del Gruppo Scrittori Ferraresi, Gianna Vancini, vi ha apposto la sua esplicativa nota. E si è voluto affidare la prefazione del cartaceo e la presentazione ufficiale dell’opera (avvenuta il 24 settembre nella biblioteca comunale Ariostea di Ferrara) ad una persona con mani in pasta, scrittore di livello internazionale, dotato di una non indifferente arguzia critica: lo scrittore Roberto Pazzi, tradotto, con uno dei suoi più recenti romanzi, Conclave, in venticinque lingue.

Neanche a dirlo come la globale performance della raccolta rappresenti un musivo intarsio di tecniche, stili, idee… modus operandi. E, dato che un tema non era stato posto a priori, è anche comprensibile l’emergere d’una varietà di argomentazioni. Purtuttavia, un filo di congiunzione, compatto almeno fino alla prima metà del libro e più rarefatto da lì alla fine, indica un preciso riferimento geografico. Vuoi per il luogo di svolgimento del racconto, vuoi per la presenza, a volte esplicita e talora implicita, nelle pieghe del linguaggio, della stessa città che lega i giovani narratori: Ferrara.

Procedendo nell’ordine, alfabetico, proposto dal libro, elencando autori e relativi titoli, mi ripropongo di soffermarmi, volta per volta, su qualche minimo dettaglio (ragioni di spazio mi limitano ad una più ampia panoramica), sul contenuto o sull’espressione artistico-estetica del loro scrivere.

Alberto Amorelli, con The Shamrock and the Thistle, intende rappresentare, con tatto delicato e timbro raffinato, un gemellaggio artistico tra Irlanda e Scozia. Richiamando il Trifoglio ed il Cardo, che assurgono a loro icastica bandiera, rievoca la fattiva collaborazione musicale tra due gruppi altrettanto simbolici: Pogues e Corries.

Andrea Biscaro, tramite Il Porto delle illusioni, in quanto scrittore e cantautore, sa sapientemente evidenziare la sua duplice passione, tuffandosi e tuffandoci in un ideale mondo illusorio, facendoci regalo di ciò di cui si vorrebbe essere omaggiati dal destino, «ballando così, tra le stelle e il silenzio, scivolando lungo i bordi dell’infinito», p. 33.

Dario Cavaliere propone, con Il paese più bello del mondo, la sua attenzione, la sua affezione, il suo amore per il paese natio. Ne descrive la morfologia in maniera del tutto originale. Non tanto soffermandosi al dettaglio geografico. Bensì amalgamandone un insieme di tasselli d’abitudini lette nelle facce della gente comune e degli amici.

Donatella Ferri (Il saluto alla terra) crea, col pennello dell’eloquenza, dissidio interiore nell’interprete del racconto. Il sonno assurge a vero alter ego dell’Uomo. Nella manifestazione, più che possibilistica, del sonnambulismo, viene messa in crisi la certezza della quotidianità. Si scopre che «nel sonno si è veramente liberi», p. 55.

Un sofisticato Sergio Fortini s’infiltra, oltre ogni comprensibile condivisione della sorte sugli extracomunitari che imperversano nel vissuto d’ogni italiano, nel disagio d’affrontarli, ogni volta, troppo spesso. Uso un termine che non mi piace, titolo del racconto, racchiude i pro e i contro comportamentali, all’insegna d’un bifronte cinismo.

Chiara Fraternale (Nel nostro piccolo) esprime perplessità esistenziali manifestabili all’esasperazione: quanto inibisce i sensi di gioia in quest’epoca, in cui nessuno manca di nulla. La versione fiabesca di rimarcare tale alienante stato d’animo in noi, gente del Duemila, è la felice soluzione che ci aiuta a farci riflettere più a modo.

Nicola Lombardi sonda l’artefatto mondo, un poco kafkiano ed un tantino sveviano, d’una realtà irreale. Denuncia le paure, le colpe e le rimozioni di un Io succube dell’effettività. Il suo Castelletto è un ossimoro ingurgita-rigurgita tensioni, sorta di drago mangia-illusioni. O anche: reiterato ventre di balena, di Giona e di Pinocchio.

Diego Matteucci, Tra la polvere delle parole, dà veste metaforica alla letteratura di tutti i tempi. Un pindarico volo eleva il mondo onirico a concreta realtà nell’incubo della disgregazione dell’esperienza delle parole "codificate". Poi le ricongiunge, ripristinando i significanti delle medesime, senza le quali le tracce del passato scomparirebbero.

Daniele Modica inventa un vecchio visionario e saggio, che, ispirato dal fantasma d’un cavallo blu, legge in faccia le vicende vissute e ne indovina il futuro. In una sua presunta pazzia («la pazzia è confondere morti e vivi, mescolarli […] e scoprire che appartengono tutti alla stessa follia») la giusta via («Pazzo è chi si sazia di realtà!», p. 100).

Alessandro Moretti afferma fin dal titolo: Nessuno mi vuole ascoltare. Ed è, il suo, un grido d’allarme tutt’altro che rifilato, anzi, molto attuale! In sé include una nutrita, incolmabile successione di difficoltà interiori del singolo. Nessuno ha tempo d’ascoltare nessuno. Si capisce che si tratta del proverbiale serpente che divora la propria coda.

Piergiorgio Rossi è autore horror. Lo svenapecore (Chupacabras) è un noir polarizzato da un’inconscia tensione simile alla licantropia della tradizione letteraria, nel giogo perverso della doppia identità indice nell’uomo di quell’innata ferinità in bilico tra bene e male, tra ragione ed istinto, il cui prototipo è dr. Jekill-mr. Hyde.

E Romano Sgarzi, con Il ragno d’oro, nella fattispecie usa un linguaggio lirico, epico-teatrale, che bene dipana una trama semifiabesca. Sicché un luogo quale Lido di Spina, amorfo elemento geografico, assurge, non più passivo, a coprotagonista. Di conseguenza il narratore, nella versione in prima persona, assume un ruolo quasi secondario...

EMILIO DIEDO 

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