IL RUOLO DEGLI EBREI NELLA SPAGNA MUSULMANA

Nelle vicende della trasmissione della cultura da un mondo ad un altro vi furono due momenti meravigliosi che si collocarono ai lati estremi di una grande mezzaluna rivolta, come quella dei Turchi, verso il cielo: nella Siria e nella Spagna islamica. Nella punta rivolta ad Oriente, fu l'Islam a ricevere, o meglio a procurarsi con fame insaziabile, le scienze, il pensiero in genere e anche molta tecnica delle civiltà precedenti, traducendo opere greche e persiane, queste ultime in parte riflesso dell'India e della sua millenaria cultura e scienza. Nella Spagna musulmana, l'altro momento magico, una Spagna in cui - come si lamentava il vescovo Alvaro, ormai non si trovava più nessuno tra i Cristiani che scrivesse in latino, ma soltanto chi si rincorreva a scrivere meglio in arabo (i mozarabi non erano il solo esempio di ciò, ma anche nell'Europa l'arabo e la cultura islamica erano diventati uno status simbolo: Dante e San Tommaso d'Aquino furono anch'essi, in qualche modo averroisti) - l'Islam fu trasmettitore e donatore nei campi delle idee e della tecnica al mondo occidentale cristiano. In Ispagna, dunque, l'elemento fondatore di questa trasmissione del pensiero attraverso le traduzioni, anche se una parte fu svolta dai Cristiani, è costituito dagli Ebrei. Essi, conservando l'ebraico come lingua scritta (come parlata era già scomparsa da circa mille anni), avevano raggiunto allora una tale simbiosi con la cultura araba quale mai più raggiunsero con un altra cultura, salvo forse nella Germania pre-nazista. Soprattutto in Spagna, infatti, gli Ebrei realizzarono un'identità di idee e di lingua con gli Arabi che si potrebbe definire incredibile. Non solo: il lascito grandioso dell'Ebraismo sfardita ha ritrovato finalmente un riconoscimento (2015) da parte delle autorità spagnole contemporanee, che hanno concesso il diritto della cittadinanza spagnola ai discendenti degli Ebrei cacciati alla fine del XV secolo.
Casalino Pierluigi