Marcello Francolini: Urbanesimo e spazi interspaziali


Le durissime polemiche seguite alla pubblicazione del rapporto Ichese hanno una doppia valenza. La prima riguarda il contenuto scientifico del rapporto (la possibilità che la sequenza sismica di due anni fa sia collegata con le attività di estrazione nel campo di Cavone), la seconda il fatto che il contenuto del rapporto è stato tenuto nascosto dalla Regione Emilia Romgna.


Il secondo elemento rischia, alla lunga, di essere molto più devastante della possibilità che il terremoto sia effettivamente collegato alle attività minerarie. Se nella società del rischio i cittadini dovranno abituarsi in un prossimo futuro all’ “incertezza” della scienza moderna, la loro insofferenza nei confronti del silenzio delle istituzioni è già arrivata a un livello di guardia. Prima o poi ci abitueremo a ragionare civilmente – ed è un segno di maturità scientifica- degli incerti confini del “principio di precauzione”, ma già ora non tolleriamo più la mancanza di informazione e trasparenza sui dati che riguardano la nostra vita.


Qui sta il vulnus gravissimo inferto dal silenzio della Regione: nell’aver minato la fiducia dei cittadini nelle istituzioni e nel rapporto che esse hanno con la scienza e con gli esperti.


Un silenzio assordante, quello della Regione, silenzio che apre il campo a tutte le congetture, e finisce per legittimare ogni sospetto. “Non si può non notare un tentativo di tenere tutto riservato e una notevole ‘sensibilità’ da parte di certi personaggi in questa vicenda.”, ha dichiarato a estense.com Enzo Boschi, geofisico, docente all’Università di Bologna, ex presidente dell’Ingv e fino al 2000 presidente della sezione Rischio sismico della Commissione grandi rischi. È la modalità stessa in cui il rapporto è stato redatto, secondo Boschi, che è uno dei massimi esperti italiani, a legittimare il dubbio che non si volesse dare una chiara informazione “Trovo profondamente scorretto -ha dichiarato a estense.com- che il rapporto sia scritto in un linguaggio estremamente tecnico con tabelle e figure scarsamente o male spiegate. Oltretutto in inglese! Come se volutamente le cose non dovessero risultare troppo chiare. Un simile rapporto ha un impatto importante su un gran numero di persone – continua Boschi – che non hanno una preparazione specialistica ma che sarebbero benissimo in grado di capire con spiegazioni adeguate.” Non sarebbe stato dunque molto più corretto da parte della Regione ammettere l’esistenza del rapporto, rilevarne gli eventuali limiti di contenuto scientifico e chiarezza esplicativa, coinvolgendo magari i cittadini dei comitati (e i loro onnipresenti esperti) nel richiedere un “supplemento di indagine”? “Se queste cose si dicessero apertamente ci sarebbe un forte recupero di credibilità!”, conclude, su questo punto, Boschi. Perché dunque non si è seguita questa strada?


Silenzio degli scienziati e immobilismo dei politici
Che la comunicazione nel campo del rischio sismico sia in un profondo stato di empasse, con possibili gravissime conseguenze, lo aveva dichiarato recentemente anche Gianluca Valensise, dirigente di ricerca all’INGV di Roma, recentemente ospite a Ferrara per la presentazione del volume, “L’Italia dei disastri”, di cui è curatore insieme a Emanuela Guidoboni, direttore del Centro euro-mediterraneo di documentazione eventi estremi e disastri. In un’intervista rilasciata alla rivista Science on line in occasione del quinto anniversario del terremoto de L’Aquila, Valensise afferma che, nonostante da allora qualche progresso sia stato fatto nel rapporto fra comunità scientifica e cittadini che chiedono di essere informati sull’evolvere delle sequenze sismiche, molti scienziati dopo il processo abruzzese “tendono a condividere le informazioni critiche solamente fra loro”.


Dunque, secondo Valensise, siamo ancora sostanzialmente al 2012, quando in seguito alla sentenza de L’Aquila si dimise la Commissione grandi rischi, lasciando un vuoto di informazione pericolosissimo. In effetti, molti sismologi, afferma Valensise, hanno assunto un diverso comportamento nella comunicazione dei loro risultati, dovuto in buona misura anche alla paura di quanto successo. Il risultato è “una situazione di confusione degli attori coinvolti: scienziati, protezione civile, amministratori locali e cittadini.” Pertanto, in base a questo quadro, la “filiera” che dovrebbe collegare in maniera virtuosa gli esperti con i cittadini passando per le istituzioni è già bloccata al primo passaggio.


Il risultato previsto da Valensise è da brivido: “siamo in molti a sospettare che in Italia i prossimi terremoti distruttivi coglieranno di nuovo di sorpresa, per lo meno i cittadini e gli amministratori”.


E gli amministratori che fanno, che in questo silenzio surreale in cui è chiaro che più che il desiderio di oblio dei cittadini conta la mancanza di comunicazione delle istituzioni? Che hanno fatto in questo periodo di “pace” che, come ci è stato ripetuto tante volte, è quello fondamentale per arrivare preparati al terremoto prossimo venturo?


Anche questa parte della filiera mostra tutta la sua debolezza, lasciando i cittadini inermi. Nella nostra città – a quasi un anno dalla pubblicazione del Piano di protezione civile – non sappiamo ancora quali percorsi seguire in caso di terremoto (o altra calamità) per raggiungere l’aree di attesa in cui non è pericoloso fermarsi e giungeranno i soccorsi: manca la segnaletica e nessuno ha le mappe con gli itinerari sicuri.


Cosa è stato fatto della microzonazione perché gli abitanti del nostro Comune sappiano che “terreno hanno sotto i piedi”, visto che da questo, in ultima analisi dipende molto della loro capacità di intervenire sulla sicurezza delle loro abitazioni?


Che sappiamo – noi e le autorità istituzionali – della sicurezza sismica degli impianti a rischio di incidente rilevante del Polo chimico?
Perché, partendo da esempi di buone pratiche (come quelle di Battiamo il sisma), non sono state realizzate attività di comunicazione di massa che coinvolgano attivamente i cittadini nella responsabile gestione del rischio?


Scenari inquietanti
Ignoranza? paura? ignavia? colpevole superficialità? piccoli interessi di bottega (di cui molto si è visto)? In questo mix – in varie proporzioni – di elementi potrebbe esserci la spiegazione di questo silenzio. Così, mentre monta la frustrazione dei cittadini, mentre cresce il loro sospetto che dietro ogni silenzio si celi un inganno, inevitabilmente si finisce per prestar fede ad ogni voce.


E potrebbe esserci uno scenario molto inquietante.


“Allora io farei solo per una settimana di chiudere i rubinetti del gas e del petrolio, – ha affermato Raffaele Pignone, direttore del servizio geologico Emilia, nella puntata Shale caos della trasmissione televisiva Report – stai sicuro che tutta la gente scende in piazza che vuole una trivella non a 200 metri, ma sotto casa la vuole.”


In un quadro come questo, in cui si bloccasse ogni modalità di erogazione e di stoccaggio di gas e petrolio, un’opinione pubblica disinformata e affamata di energia farebbe salterebbe ogni distinzione fra i vari progetti e le diverse soluzioni. Senza guardare in faccia a niente e a nessuno, a quel punto, accetteremmo tutto pur di avere l’energia indispensabile.


Fantapolitica? Forse. Ma intanto la Libia, da cui ci approvvigioniamo da sud, è di nuovo in rivolta. E mentre scriviamo Putin sta concordando enormi forniture di gas alla Cina per stornare là le sue enormi riserve di gas, aggirando le sanzioni e il possibile blocco dei gasdotti che, via Ucraina, ci riforniscono da est.


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