L'era postlunare di Lilith


Lilith, mater diabolica
Vampirismo, femminismo e spreco erotico nella dea dei succubi.

di Marco Benoit Carbone

Il puro e semplice pericolo allontana, mentre solamente l’orrore del proibito mantiene nell’angoscia della tentazione” - Georges Bataille

Non è certo che il diavolo sia donna, ma è probabile che il vampiro sia nato femmina. Lilith, regina del seme sprecato, progenitrice di demoni e succubi e lasciva incarnazione della ferina sovranità femminile, è una sorgente fondamentale per il fenomeno erotico-sacrale del vampirismo. Lilith è un agglomerato, un demone-moltitudine in cui si agitano pulsioni e ansie profonde. Umano, divino e animale convergono in un radicale movimento erotico che evoca le origini dei diritti e dei doveri sessuali e sociali, il sentimento dell’osceno e della morale, la falsità tragica della cesura tra uomo e animale, la necessità della convivenza tra la regola e la trasgressione.


La dea-civetta reclama così un’origine più antica per il vampirismo e letture più mature, capaci di andare oltre la sola matrice decadente e romantica. Questo lavoro, restando nel solco della storia delle civiltà cosiddette indoeuropee, tenta di affacciarsi sulla complessità antropologica ed erotica del mito e sulla sua rilevanza per il vampirismo. Affrancato dalle logore messe in scena contemporanee, che troppo spesso lo ingabbiano in generi e formule stantie, il vampiro cessa di essere uno stereotipo funzionale alla trasgressione prêt a porter e si riafferma in una la propria pericolosità e universalità. Lilith è la sua manifestazione femminile per eccellenza e percorre direttamente, o “per interposta divinità”, tutte le narrazioni principali del demoniaco; fino ad arrivare alle recenti rielaborazioni femministe, che hanno fatto della dea un idolo anti-patriarcale, in un progetto di contestazione della ragione dominante.


La dea-civetta è uno degli idoli di un pantheon malefico in cui al Male è possibile assegnare la pars detruens di ideologie, retoriche e idealismi liberticidi. Eppure, questo non si deve a un orizzonte di senso alternativo ai vari finalismi delle teocrazie, alle metafisiche religiose o finanche a un progressismo positivista; ma avviene perché il Male, attraverso le sue figure, non è mai reificabile, e porta l’umanità alla lacerante consapevolezza dei limiti, al contempo tragici e ridicoli, delle speranze sulle proprie origini, identità e destini. Speranze che la dea-civetta rappresenta, nega e scatena spietatamente rovesciate, in un crudo rimando alle vere radici dell’umanità.....C

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