Per formazione, i giornalisti sono abituati a pensare che la loro sia un’attività libera. Rispondono alla propria coscienza e hanno due fari: il primo è l’articolo 21 della Costituzione - «tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero» - che li conferma nella loro idea di esprimersi come più gli piace. L’altro è la legge penale che li ammonisce invece a non superare limiti precisi.
Purtroppo per loro, però, è nato nel 1963 l’Ordine dei giornalisti che ha introdotto un elemento di confusione in un quadro trasparente. Cos’è l’Ordine? Dopo quasi mezzo secolo di esistenza, le somme che se ne tirano sono meschine. Al dunque, è una macchina che succhia soldi agli iscritti con le quote annuali e svolge una sola funzione di rilievo: organizzare gli esami di accesso alla professione.
Questo ente quasi inutile si arroga però anche il diritto di giudicare la moralità dei giornalisti. Ha eretto al suo interno una specie di Inquisizione per giudicare gli iscritti che «si rendono colpevoli di fatti non conformi al decoro e alla dignità professionale o di fatti che compromettono la propria reputazione o la dignità dell’Ordine».
IL GIORNALE di Mario Perna