Elogio delle Veline


da IL GIORNALE
 
Milano - Entrarci, se volete, è relativamente facile: si superano le selezioni ed è fatta, si diventa veline di Striscia la Notizia.
Ma uscirci, poi, quello sì che è complicato. No, non dal programma: scade il contratto e via. E’ difficile uscire dal «velinismo», la cambiale che spesso queste ragazze pagano sopportando accuse roboanti tipo essere «vittime dell’androcentrismo sessuale», «tette e culi senza cervello» e altre amenità del genere. Sia chiaro: le vicende personali di ciascuna, il tourbillon gossiparo, le esagerazioni, il glamour vero o presunto, sono cose a parte. Ma che le veline siano vittime, più che carnefici, del velinismo è abbastanza evidente. Se non altro perché il velinismo è una parola nuova affibbiata, con un inedito riflesso negativo e spesso inutilmente politicizzato, a un criterio vecchio come il mondo. In fondo anche Macario o Totò, per dire due degli ultimi in ordine di tempo, non sceglievano certo le loro ballerine di fila dopo averle sottoposte a un esame di filosofia. Ma nessuno, ovvio, aveva da ridire. Insomma il velinismo - ossia il temporale di luoghi comuni che si abbatte su veline e affini - è una tassa che hanno pagato tutte ed è inutile citare solo la più famosa, Elisabetta Canalis. Nel lunghissimo elenco di showgirl transitate a Cologno dal 1988, dalle prime Cristina Prevosti, Stefania Dall’Olio, Eliette Mariangelo e Micaela Verdiani fino alle ultime due, la percentuale di chi ce l’ha fatta a continuare la carriera è sostanzialmente identica a qualsiasi altro ambiente di lavoro....

 
SEGUE
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