da GLI ALTRI ON LINE
Su una terrazza con gran vista, stretta tra la piazza del Popolo e della Libertà, Claudia Salaris dice una cosa che – se non fosse amara ma vera – suonerebbe come una di quelle storielle sui colmi. Il colmo per un cuoco, per un idraulico, per un pescatore. Cose così, che fanno ridere pochissimo. E appunto, potremmo dire: qual è il colmo per una storica del Futurismo? Avere, del futuro, una pessima opinione. «Penso che tra pochi anni nessuno si ricorderà niente. La scuola non sollecita alcuna curiosità e noi siamo condannati all’oblio». Riflette, sorride, e pareggia: «Dài, ci può essere sempre lo stupore dell’incontro».
Il suo lo ebbe negli anni Settanta con l’artista Pablo Echaurren. Un rapporto d’amore, di bassi elettrici (la passione di Echaurren, disseminati in ogni stanza della casa) e di futuristiche parole in libertà. Nella foto qui in alto (uno scatto di Tano D’Amico), li potete vedere abbracciati, lui con un taglio alla Ringo Starr, lei felice e capelli sciolti (anche se il più scenografico è il tipo con la barba nella macchina. Chissà chi è). Salaris comincia a raccontarsi da quegli anni, dai primi baci con Pablo, l’amico d’infanzia ritrovato tra gli irregolari del movimento, alle appassionate cacce all’inedito futurista, inebriata dall’«unica avanguardia per cui l’Italia sarà ricordata» e dai lazzi del fondatore, Filippo Tommaso Marinetti. Lì iniziò un viaggio che ha portato Salaris a scrivere libri (come quello godibilissimo per Giunti, l’anno scorso, a 100 anni dal manifesto futurista) e a installare un ponte radio tra due tradizioni culturali tanto distanti nel tempo quanto vicine nella furia: il Futurismo e la creatività degli anni post Sessantotto. «Ad un certo punto capii che le esperienze che stavo vivendo con la militanza potevano coincidere con l’oggetto del mio studio».
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