Ode al Telefonino in vacanza da Marcello Veneziani

da IL GIORNALE
 
di MARCELLO VENEZIANI
 
Se non avete provato, non potete immaginare come è doloroso assistere all’agonia e poi alla morte del telefonino per caduta in mare. È uno spettacolo toccante. A me è successo. In un caldo giorno di mezza estate, la povera bestia - mentre emetteva un cinguettio - cadde in una piccola pozza d’acqua salata che si nascondeva tra gli scogli. La raccolsi al volo, la creatura (scusatemi se la chiamo al femminile ma considero il cellulare la mia bambina), si fece paonazza ed ebbe solo il tempo di emettere un estremo saluto con una manina elettronica, poi strabuzzò il display, passò velocemente in rassegna tutti i suoi programmi come accade nell’ora estrema del trapasso e cominciò a tremare, tremare, come un essere vivente. Era la vibrazione di agonia; poi emise un suono che era come un rantolo e infine si fece scura. E non dette più segni di vita. Provai con la respirazione bocca a bocca, provai a tirarle fuori l’anima, in forma di sim, e perfino a farle un massaggio cardiaco alla batteria. Niente, la creatura era ormai stecchita, esanime. I cellulari sono creature reumatiche, muoiono alla prima umidità, il sale poi le uccide forse perché sono ipertese e hanno seri problemi alla circolazione. Così vedendola ormai immobile, le abbassai le palpebre a forma di cancelletto e stetti un minuto di raccoglimento davanti alla sua salma elettronica. Poi la riposi nella culla in cui l’avevo vista nascere, quando la comprai, così la sua custodia d’origine divenne la sua bara, e le rivolsi un estremo saluto, ricordando i bei tempi in cui la vivace bestiolina cinguettava, trillava, vibrava. Fu una sorpresa commovente quando appresi dal gestore telefonico che la creatura mi aveva lasciato in eredità anche un cospicuo patrimonio di conversazioni. Che cara, aveva messo da parte vari minuti di conversazione.
 
SEGUE
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