di Roby Guerra
da Transumanesimo e Futurismo (eBook, La Carmelina, 2014)
In Italia, i vari Argan (“l futurismo, movimento provinciale”) e altri geni, per questioni meramente ideologiche - esempi di pensiero acritico e neoconformismo inequivocabili - lasciarono dissipare gran parte del patrimonio futurista, finito, per altre vie, collezionisti e-o musei eccetera (non ultimo anche certo saggio “esilio” di eredi di Balla o di Marinetti ad esempio) appunto all'estero, anche in Usa: fenomeno ironicamente “luminoso” della cultura italiana recentemente sottolineato dallo stesso Giordano Bruno Guerri. E in America, vuoi per questa coincidenza mediatica e conoscitiva del Futurismo, vuoi per la contemporanea nascita della nuova scienza futurologica, i pionieri dell'arte della previsione sociale, tacito o meno, consapevoli spesso comunque della matrice futurista italiana, via via optarono proprio per le parole Futurismo e Futurist, più pregnanti e incisive di Futurologia o futurologi, perlomeno alternative. I celebri Istituti stesso del Futuro diffusi in Europa (Robert Jungk) nel secondo novecento furono battezzati Futurist.
Insomma, da Marvin Minsly a Robert Jungk a Bertrand de Jouvenel a Alvin Toffler a Marshall McLuhan, agli stessi Asimov e gli scrittori di science fiction, fino agli stessi Bill Gates e Nicholas Negroponte e in particolare Derrick De Kerckhove, erede di McLuhan (ne dirige anche il Laboratorio attuale in Canada a Toronto), la parola Futurismo è sinonimo di futurologia: ripetiamo, nella consapevolezza generalizzata, tacito o meno, della matrice stessa futurista italiana, artistica. Sempre recentemente, non a caso, proprio De Kerckhove e lo stesso Giordano Bruno Guerri hanno duellato simpaticamente, quasi, criticamente, proprio sui media televisivi nazionali, sul Futurismo, ala letteraria il secondo, ala post-internet il primo, più o meno la nostra tesi come LLF (il Laboratorio della letteratura Futurista, lanciato dal Movimento Transumanista - AIT) tra la stessa nuova “password” futurista e futurologica cosiddetta transumanista.
da Transumanesimo e Futurismo (eBook, La Carmelina, 2014)
Futurismo 2.0
“Tutti i futurismi
del mondo sono figli del futurismo italiano”
Filippo
Tommaso Marinetti
In Italia, si sa, certo archetipo
culturale dominante, paleoumanista, veterocomunista, archeocattolico,
che risale ancora agli hardware (anche dialettici, ma altra
questione) dei vari San Tommaso D'Aquino, Benedetto Croce e Antonio
Gramsci - la vulgata ovviamente - (purtroppo anche i cattivi maestri
del '68 0 '77), tutt'oggi ostile all'umanesimo scientifico nelle sue
democratiche variabili, ha effetti negativi anche pragmatici, nel
linguaggio e nella comunicazione.
Un esempio clamoroso, pochissimo analizzato, è la parola Futurismo: in Italia, salvo alcuni addetti ai lavori, è percepita esclusivamente in relazione all'avanguardia italiana di Marinetti e nelle sue articolazioni analoghe artistiche internazionali: ovviamente, la matrice resta questa.
Un esempio clamoroso, pochissimo analizzato, è la parola Futurismo: in Italia, salvo alcuni addetti ai lavori, è percepita esclusivamente in relazione all'avanguardia italiana di Marinetti e nelle sue articolazioni analoghe artistiche internazionali: ovviamente, la matrice resta questa.
Tuttavia, a partire dagli anni 50 del
secolo scorso, la parola è globalmente debordata dalla sfera
squisitamente estetica: la futurologia in America e nei paesi
anglosassoni (ma praticamente in tutto il mondo, tranne in Italia...)
è chiamata soprattutto Futurismo; e i futurologi, Futuristi,
Futurist. Né si tratta di una mera coincidenza, come spesso
ancora alcuni affermano. Il Futurismo in quanto tale, come movimento
artistico, pur già anche diffuso negli anni storici dell'avanguardia
italiana, oltre oceano è stato conosciuto soprattutto all'indomani
della fine della seconda guerra mondiale (e oggi esploso con l'ultima
retrospettiva al Museo Guggenheim a cura di Vivien Greene).
In Italia, i vari Argan (“l futurismo, movimento provinciale”) e altri geni, per questioni meramente ideologiche - esempi di pensiero acritico e neoconformismo inequivocabili - lasciarono dissipare gran parte del patrimonio futurista, finito, per altre vie, collezionisti e-o musei eccetera (non ultimo anche certo saggio “esilio” di eredi di Balla o di Marinetti ad esempio) appunto all'estero, anche in Usa: fenomeno ironicamente “luminoso” della cultura italiana recentemente sottolineato dallo stesso Giordano Bruno Guerri. E in America, vuoi per questa coincidenza mediatica e conoscitiva del Futurismo, vuoi per la contemporanea nascita della nuova scienza futurologica, i pionieri dell'arte della previsione sociale, tacito o meno, consapevoli spesso comunque della matrice futurista italiana, via via optarono proprio per le parole Futurismo e Futurist, più pregnanti e incisive di Futurologia o futurologi, perlomeno alternative. I celebri Istituti stesso del Futuro diffusi in Europa (Robert Jungk) nel secondo novecento furono battezzati Futurist.
Insomma, da Marvin Minsly a Robert Jungk a Bertrand de Jouvenel a Alvin Toffler a Marshall McLuhan, agli stessi Asimov e gli scrittori di science fiction, fino agli stessi Bill Gates e Nicholas Negroponte e in particolare Derrick De Kerckhove, erede di McLuhan (ne dirige anche il Laboratorio attuale in Canada a Toronto), la parola Futurismo è sinonimo di futurologia: ripetiamo, nella consapevolezza generalizzata, tacito o meno, della matrice stessa futurista italiana, artistica. Sempre recentemente, non a caso, proprio De Kerckhove e lo stesso Giordano Bruno Guerri hanno duellato simpaticamente, quasi, criticamente, proprio sui media televisivi nazionali, sul Futurismo, ala letteraria il secondo, ala post-internet il primo, più o meno la nostra tesi come LLF (il Laboratorio della letteratura Futurista, lanciato dal Movimento Transumanista - AIT) tra la stessa nuova “password” futurista e futurologica cosiddetta transumanista.
Proprio quest'ultima nuova futurologia
italiana e internazionale ha riportato alla luce del Sole la storia
della parola Futurismo nella sua evoluzione linguistica: da Riccardo
Campa e Stefano Vaj, noi stessi e altri (si veda Divenire 3
Futurismo), allo stesso Max More (“Verso una filosofia futurista”),
ai vari Antonio Saccoccio e Ugo Spezza. In Italia, invece, bisogna
significativamente ancora sempre spiegare tale reinvenzione
contemporanea della Parola. Soltanto la diffusione di tale dinamismo
linguistico, per la necessaria Gestalt comunicativa, per
superare lo stolto letteralismo, paradossale, della casta culturale
italiana, sempre attardata e fondamentalmente passatista, ancor più
di un secolo fa e necessariamente lentista (così va l'evoluzione
sociale rispetto a quella tecnoscientifica o artistica), farà tabula
rasa, prima o poi, di tale gap linguistico.
Futurismo coglie bene una delle leggi della comunicazioni di massa: laddove la comunicazione meramente razionale e esatta, anche se ineccepibile, non persuade i cuori della gente ( e dei critici d'arte o dei filologi, dei giornalisti o delle masse tout court), è invece la parola come mito senza mitologia (secondo le intuizioni degli stessi McLuhan, Hillman, Barthes e Baudrillard o altri mediologi o psicologi), la password più rapida e tecnodinamica.
Infine: un punto fondamentale... Tale equazione anche storica, linguistica, tra futurismo e futurologia, tutt'oggi appare, come accennato, a taluni arbitraria. In ogni caso, al di là della matrice artistica consapevole o meno tra i futurologi (noi riteniamo di sì come visto, almeno in gran parte, si veda anche il bellissimo saggio di Gino Agnese su McLuhan e il Futurismo), sono indicative e indiscutibili le pagine dei vari Harold Bloom o persino di Jung, psicologo e futurologo o transumanista ante litteram, sull'influenza culturale come effetto farfalla e-o domino, o via archetipi, inconscio collettivo o transpersonale. Per le scienze umane come il Futurismo. l'ala stessa letteraria o artistica transumanista, il metodo, piaccia o meno, è già scientifico così. La condizione umana assai complessa non è ancora riducibile solo alle scienze pure esatte cosiddette, (almeno storicamente), né l'immaginario o l'immaginazione come ciberspazio mentale nel suo divenire.
Tra l'altro, chi nega tali dinamismi non lineari (ma anche causa-effetto a ben vedere), storico-culturali, in nome di certi giochi linguistici appare proprio in flagrante contraddizione. Presuppongono - tali spiriti attardati - proprio l'influenza storico-culturale, ma la circoscrivono a livello riduzionista, extracomplessità, mancando pertanto la Gestalt giusta.
Infine, interessante: proprio anche nella fantascienza italiana, nella musica pop techno, nei cultori di certa cibercultura nascente, a differenza di certi Dotti Asini accademici, è prassi, ormai, l'uso della parola Futurismo nella sua accezione più evoluta, nel senso di quanto qua espresso e analizzato...: basta un solo esempio, il rock futurista di un certo David Bowie.
Futurismo coglie bene una delle leggi della comunicazioni di massa: laddove la comunicazione meramente razionale e esatta, anche se ineccepibile, non persuade i cuori della gente ( e dei critici d'arte o dei filologi, dei giornalisti o delle masse tout court), è invece la parola come mito senza mitologia (secondo le intuizioni degli stessi McLuhan, Hillman, Barthes e Baudrillard o altri mediologi o psicologi), la password più rapida e tecnodinamica.
Infine: un punto fondamentale... Tale equazione anche storica, linguistica, tra futurismo e futurologia, tutt'oggi appare, come accennato, a taluni arbitraria. In ogni caso, al di là della matrice artistica consapevole o meno tra i futurologi (noi riteniamo di sì come visto, almeno in gran parte, si veda anche il bellissimo saggio di Gino Agnese su McLuhan e il Futurismo), sono indicative e indiscutibili le pagine dei vari Harold Bloom o persino di Jung, psicologo e futurologo o transumanista ante litteram, sull'influenza culturale come effetto farfalla e-o domino, o via archetipi, inconscio collettivo o transpersonale. Per le scienze umane come il Futurismo. l'ala stessa letteraria o artistica transumanista, il metodo, piaccia o meno, è già scientifico così. La condizione umana assai complessa non è ancora riducibile solo alle scienze pure esatte cosiddette, (almeno storicamente), né l'immaginario o l'immaginazione come ciberspazio mentale nel suo divenire.
Tra l'altro, chi nega tali dinamismi non lineari (ma anche causa-effetto a ben vedere), storico-culturali, in nome di certi giochi linguistici appare proprio in flagrante contraddizione. Presuppongono - tali spiriti attardati - proprio l'influenza storico-culturale, ma la circoscrivono a livello riduzionista, extracomplessità, mancando pertanto la Gestalt giusta.
Infine, interessante: proprio anche nella fantascienza italiana, nella musica pop techno, nei cultori di certa cibercultura nascente, a differenza di certi Dotti Asini accademici, è prassi, ormai, l'uso della parola Futurismo nella sua accezione più evoluta, nel senso di quanto qua espresso e analizzato...: basta un solo esempio, il rock futurista di un certo David Bowie.