Governo Matteo Renzi: la Gioventù al Potere e grande RealPolitik


copy-cropped-MATTEO-RENZI-TRIBUTE-2.02.jpgUn governo di giovani politiche



Tre ministri a Alfano, uno a Monti, uno a Casini. Il resto è Pd

 di Franco Adriano  

..... Il Pd di Matteo Renzi ha fatto man bassa sostituendo i ministri tecnici del governo Letta con esponenti del partito molti dei quali giovani: sono ascrivibili ai democratici 11 ministri su 16. Vince, con grave scorno di Forza Italia, anche il Ncd di Angelino Alfano che ha difeso bene l'accordo siglato con Renzi quando Enrico Letta era ancora in carica, il quale prevedeva la conferma dei suoi tre ministri uscenti compreso lui al Viminale (possono proseguire il loro lavoro, dunque, anche Maurizio Lupi alle Infrastrutture e Beatrice Lorenzin alla Salute). Mossa del cavallo di Pier Ferdinando Casini che nel giorno in cui ha lanciato l'ex ministro Giampiero D'Alia nel congresso dell'Udc, ha promosso ministro all'Ambiente: il fidatissimo Gianluca Galletti, già sottosegretario all'Istruzione, sacrificando di fatto il compagno di strada (nei gruppi parlamentari di riferimento) Mario Mauro, ministro della Difesa uscente. Sembra aver finalmente trovato il suo schema di gioco politico anche l'ex premier Mario Monti che conquista con la coordinatrice del suo movimento Stefania Giannini l'egida dell'università e dell'istruzione pubblica. Impressionante la falange dio giovani donne volute al governo da Renzi, in taluni casi passando sopra altre donne che hanno vissuto già molte stagioni politiche. É il caso di Federica Mogherini, promossa da sottosegretario a titolare del dicastero degli Esteri al posto del suo ministro, fino a ieri, Emma Bonino. L'imprenditrice democratica Federica Guidi allo Sviluppo economico, poi, risponde anche al criterio di rpovenire dalle scuderie di Confindustria, che sotto la guida di Giorgio Squinzi manifesta impazienza. Chissà se Squinzi se l'aspettava o è rimasto sorpreso come Pippo Civati nell'ascoltare la nomina a ministro per gli Affari regionali di Maria Carmela Lanzetta, il sindaco anti-'ndrangheta che lui durante le primarie aveva messo nel suo personale pantheon, è corso in tv a far sapere che avrebbe gradito, almeno, essere avvertito prima. Roberta Pinotti è la prima donna a diventare ministro della Difesa. Marianna Madia adesso potrà spiegare all'ex direttrice di youdem Chiara Geloni perché nel gioco delle correnti interne al Pd è passata a Renzi: il premier incaricato dopo averle affidato le politiche del lavoro al partito l'ha eletta al dicastero della Pubblica amministrazione già di D'Alia e che fu di Renato Brunetta. Cambio di genere anche ai Rapporti con il parlamento dove Maria Elena Boschi prende il posto di Dario Franceschini: Renzi ha pagato il suo impegno nei giorni caldi, che hanno portato alla destituzione di Letta, con un ministero con portafoglio pesante (Beni culturali). Se tanto dà tanto, infine, Giuliano Poletti al ministero del Lavoro dà l'idea di una concezione cooperativistica della riforma forse più importante che si appresta ad affrontare Renzi. Mentre alla Giustizia la scelta di un politico come Andrea Orlando risponde al modello Lorenzin: in certi settori dare la delega ad un tecnico è controproducente, dandola ad un politico vero che ha fatto tutta la trafila (meglio se nemmeno laureato in qualche materia specifica) forse si ottengono buoni risultati. Comunque Orlando è stato responsabile Giustizia del Pd. Almeno Maurizio Martina, già giovanissimo responsabile Agricoltura del partito, formazione all'Istituto agrario di Bergamo, ha potuto farsi già un po' le ossa al ministero della Politiche agricole che di fatto guida da quando il ministro Nunzia De Girolamo si è dimessa.

Sull'Economia Matteo non ha l'ultima parola

Nel governo dei record: età media 47 anni, premier più giovane, prima donna ministro della Difesa, maggior numero di donne, per citarne alcuni, c'è anche una conferma. Al ministero dell'Economia, non può essere nominato un politico puro (a meno che abbia inconfutabili capacità tecniche). No, in via XX Settembre l'ultima parola non spetta a Renzi. Lì risiederà l'unico tecnico sopravvissuto di una numerosa genìa: Pier Carlo Padoan, prendendo il posto di Fabrizio Saccomanni. Va detto che la nomina di Padoan al vertice dell'Istituto di statistica nazionale (Istat) era arrivata neanche un mese fa, a fine gennaio. Ma non è questo il punto. Perché alla fine ha prevalso Padoan perfino su Saccomanni voluto da, si dice, da Napolitano e Mario Draghi? Per una collocazione politica oltre che per le qualità tecniche. Economista e professore universitario, Padoan ha avuto incarichi come consulente presso la Banca mondiale, la Commissione europea e la Banca centrale europea. Dal primo giugno 2007 è vice segretario generale dell'Ocse, di cui due anni più tardi diviene anche Capo economista, mantenendo entrambe le cariche. Tecnico sì, ma con un occhio alle relazioni internazionali che contano. Padoan, infatti, è stato direttore della Fondazione Italianieuropei, un think-tank politico che si occupa di temi economici e sociali presieduto da Massimo D'Alema e frequentato dal gotha della sinistra italiana che tesse relazioni internazionali.

Arrivo, arrivo. Renzi Speedy Gonzales-----  ITALIA OGGI