Nuovi Talenti letterari da Ferrara: Valentino Tartari e "Il destino delle farfalle" by E. Diedo

Valentino Tartari

Il destino delle farfalle

L’immagine di copertina è tratta dalsito www.imgfave.com

Prefazione di Matteo Bianchi

Este Edition, Ferrara 2013, pp. 68, €10,00


Valentino Tartari, vent’anni appena,ha già pubblicato due saggi e, con questo, due libri di narrativa.La sua vena letteraria sembra sospingerlo sempre, o comunque dinuovo, verso una poiesi di natura classica. Almeno questo è quantoemerge chiaramente dalle ultime due opere, quelle narrative, ambedueedite da Este Edition.

Io sono Calipso, laprecedente, è certamente più ambientata nella classicità rispettoa quest’ultima, Il destino delle farfalle. Ma neppure questa– ripeto – è esente da rigurgiti di letteratura greca. Anzi, aben guardare, se ne può trarre una centrale coessenza alquantoindicativa d’una fondante analogia, che, nell’affiancanteparallelo della trama relativa alla vicenda principale, risultacapace di sublimarne il significato. Il quale significato, rispettoalla prima evidentissima apparenza, assume richiamo innegabilmenteepico, proiettando la narrazione ad un livello emblematicamentesuperiore, che ne impreziosisce l’esito e, di conseguenza, ilgodimento.

Di una storia palesemente luttuosa,che avrebbe potuto essere data in pasto al lettore con l’inchiostroil più nero, come la pece, Valentino riesce a farne una romantica(nell’originario senso del termine d’una poetica attinta daisepolcri) quanto esaltante messinscena sul piano d’unesistenzialismo che, alla faccia del dirompente epos che laviene a sostenere, quasi come un deus ex machina, s’ingravidad’escatologiche note.

È peraltro evidente quanto iltitolo del libro, corroborato dalla significativa coreografiafotografica della copertina, eserciti un richiamo fortemente lirico,prestato alla selettiva causalità della natura animale. Un’analogia– come si disse –, più che una metafora, incentrata,adeguatamente allargandone la portata, sull’esistere umano.

In sostanza, nello svolgersidell’intreccio, si possono intravedere due protagonisti sullostesso livello ed un terzo, di livello minore.

Due protagonisti che potrebberoessere definiti l’uno “io-narrante” e l’altro“ego-scrittore”, ben diverso, quest’ultimo, da un potenziale“io-scrivente”. Non voglio anticipare né nomi né fatticoncreti, ma mi preme piuttosto evidenziarne il dualismo insito nellafunzione di referente del primo e di quella d’impastatore d’unafredda costipazione degli affetti del secondo. Dei due, ilprotagonista scrittore in filigrana (in quanto il vero scrittore èTartari stesso) rappresenta di fatto quell’ampliamento scrittorioche allarga la prospettiva del mero racconto verso il brillante edoppio orizzonte che, da un lato, recupera gli affetti, dando perciòla dovuta umanità ad un padre apparentemente stoico, incredibilmentesuccube del destino; e, da altra angolazione, imprime quellapreannunciata epicità che sovrasta il narrato, apportando unabellezza da leggere oltre le righe. Il terzo protagonista, per quantosottomesso per ordine d’importanza, è una vittima della fatalità.Un’immatura umana figura fatta rifulgere di metafora e di costruttifortemente esistenziali dalla pacata riflessione d’un padre che,solo tramite la scrittura, e quindi la parola, una parola muta, maiesternata (qualcosa in lui di prepotente gli impediva di farlo),riesce a rendersi partecipe del dolore del figlio.

Il libro chiude con la negazioned’un suicidio o, meglio, con la negazione dell’idea del suicidio.Elemento psicologico che, una volta di più, nel narrato, rappresentala forza, imprevedibile, invincibile d’un fato, che, pur di nondare la soddisfazione all’individuo d’un riscatto cercato nelprocurare la morte a se stesso, si sostituisce a quell’attoestremo. Elevando, per l’appunto, un fortissimo concetto, prima ditutto religioso, di negazione del suicidio. Si deve morire soloquando sia effettivamente la decisione del destino, e non quella dinoi stessi, a decretare la nostra ultima ora.

EmilioDiedo

 

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