FERRARA. Giovani a spasso. Qualcuno stordito dall'alcol, altri a fare sesso acrobatico (sui gradini e i leoni di piazza). Una cattedrale bella, un sagrato affollato, un arcivescovo che afferma papale-papale che non tollererà più un postribolo a cielo aperto. Un sindaco al contrattacco che ostenta altre origini, maestri e segni d'impegno cattolico. Una densa città universitaria e tempi grami. Se li mettete tutti in fila scoprirete che a Ferrara vanno cozzandosi gli ingredienti del mondo.
È quindi sbagliata la persuasione che la nostra città dorma, balbetti, sia arretrata e lenta alle novità. Qui sta succedendo qualcosa di trasversale. La minaccia arcivescovile di barricare la cattedrale premuta da una vita notturna senza timor d'Iddio e il conseguente suo pensamento sullo stato delle anime - non privo di punte e lame -, ha svelato la Ferrara contemporanea. Ho ricevuto la telefonata di un lettore esuberante, che ha chiesto: "Ma non si può fermare, il vescovo?". Gli ho risposto di no: deve procedere fino in fondo. Prima di tutto perché monsignor Negri sta rappresentando una Chiesa che ha deciso di parlar chiaro con una lingua nuova per Ferrara. Quella che troppo superficialmente viene definita polemica, in verità è un azzardo consapevole. Monsignor Negri di certo ha preventivato fuochi di sbarramento, controrepliche, manifestazioni, botte a Comunione e Liberazione e fin su al Vaticano e fin giù per ogni peccato della gerarchia ecclesiastica. L'arcivescovo non va fermato, perché è qui per questo. Che la Chiesa si misuri col mondo, provi.
I giorni del dibattito hanno però annodato e confuso una serie di temi che andrebbero al contrario tenuti fra loro alla larga, a meno che non ci sia un sottile filo di connessione pianificata: la decisa operatività dell'arcivescovo per la dignità del duomo (valori sacrali, estetici, culturali, igienici); il suo pronunciamento sul profilo dei cattolici in politica (valori non negoziabili che orientano le alleanze).
Il primo tema evoca titoli fascinosi, come quello del testo di Le Corbusier "Quando le cattedrali erano bianche - Viaggio nel paese dei timidi", e come "Riflessioni sui secoli delle cattedrali" di Daniela Romagnoli Scotti e del grande medievista francese Jacques Le Goff. Voglio dire che il sagrato è sì un prolungamento della cattedrale, ma anche piazza e non diaframma, il luogo dove si sovrappongono il sacro e il profano, la sagra e la fiera, la processione e i mangiafuoco, le sacre rappresentazioni e i Carmina Burana dei goliardi dell'anno Mille. Per esperienza storica il sagrato è la zona franca dei conflitti: il giocoliere, gli accattoni, le incoronazioni lì convivevano. Ogni tanto con qualche purga, normalizzazione, pulizia. Victor Hugo ne è il narratore supremo col suo romantico "Notre-Dame de Paris" e l'umanità delle corti dei miracoli che Riccardo Cocciante ha messo in musical nel 1998 con il pezzo forte "Il tempo delle cattedrali".... C
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