Certo quello che succede nelle serate universitarie è lontano da quel Corso Roma che descriveva Bassani, con “le ore propizie per gli aperitivi, la folla seduta e quella in piedi, salutando, stringendo mani, bonariamente urtando e venendo urtati secondo il costume inveterato della provincia italiana…”. Ma è ancora più distante dalla bolgia infernale dipinta da monsignor Negri.
Il punto di partenza per riportare la questione alla sua essenzialità è capire a quale uditorio il vescovo intendeva rivolgersi. In altre pagine l’anatema pastorale è stato difeso ‘crociatamente’ come una semplice opinione. Una semplice opinione sostenuta con il diritto della curia di dire ciò che vuole. Vero. Ma ci si dimentica di un passaggio chiave. Quelle parole – sorvoliamo sul termine “postribolo” che rimanda al meretricio, con annessi e connessi – non escono dalle mura di una chiesa. Non appartengono a un sermone rivolto ai propri fedeli dall’alto di un altare. L’invettiva proviene da una nota inviata alle redazioni giornalistiche. Evidentemente per essere pubblicata e letta da tutti. Da chi vede nel vescovo la propria guida spirituale e da chi a questo punto si trova a subire una predica non richiesta. Una volontà di catechizzare che esula insomma dal ruolo di un capo di una comunità religiosa.
Più centrato l’intervento di Fiorenzo Baratelli, che vorrebbe questa disputa non limitata al mondo dei credenti, ma allargata alla cittadinanza intera “perché la città è di tutti”. Che la diatriba non fosse ab origine confinata all’interno della comunità cattolica era – come spiegato – già nelle intenzioni di partenza. Il direttore dell’istituto Gramsci parla anche di riflesso in chiave locale di diverse anime della Chiesa di Roma e sostiene che in questo caso si parta “da un problema reale”.
Vediamo allora se davvero stiamo parlando da una settimana di un problema reale....C
*Marco Zavagli Estense com