LucianoMontanari
Gliultimi luoghi dove ancora si parla e altri racconti
Prefazionedi Gianna Vancini
I
in copertina “Bar a Lisbona”, fotografia di Paolo Squersanti
EdizioniArstudio, Portomaggiore-Ferrara 2012, pp. 64, € 10,00
Questisedici racconti, ennesima pubblicazione del ferrarese LucianoMontanari, appoggiata da ben sette ditte locali, alle quali ilringraziamento è esternato nella seconda aletta di copertina, nonsorprendono affatto quanto a capacità linguistica e descrittiva. Lafama scrittoria dell’autore è pienamente collaudata. Ma,d’acchito, ci si potrebbe trovare spiazzati per l’inattesocimento nella forma breve del raccontare. Brevità che, per circa unametà dei contestuali racconti, è quanto mai palese, in forza d’unasintesi espressa in non più di tre pagine. Lo stesso eponimoracconto ne sfrutta addirittura solo due. E qualora ci si discosti dauna siffatta performance, non si giunge comunque al superamento dellesei pagine. Va doverosamente aggiunto che si tratta d’unastringatezza sempre esaustiva, che non abbisogna in nessun caso d’undebordamento dall’intreccio da parte della mente del lettore, ilquale riesce ogni volta a far sua l’esatta scaturigine che smuovel’intenzione e la puntuale realizzazione narrativa degli individuipersonaggi. Marionette che, a loro volta, si muovono sul palco d’unarealistica (nel senso di non dissimile anche qualora siano narratiaccadimenti solamente potenziali) teatralità.
Siparlava di “spiazzamento”. Ebbene, Luciano Montanari ha abituatoil suo pubblico, ormai da un settennio, per una produzione d’almenoquattro romanzi, ad una dimensione narrativa medio-lunga (Lasconfitta,2005; Ceciliaa Ferrara,2006; Ilvelo dell’illusione,2007; Unatriste felicità,2010). Si sottolinea, aprendo una legittima parentesi, che il nostroscrittore ha pubblicato ancora tante altre opere letterarie chespaziano dal teatro alla poesia, dialettale o in lingua per entrambele proposte, e che anche nel romanzo egli non denota caratteristicheprolisse bensì comunque sufficientemente demarcanti questa taletipologia. Come pure non si dovrebbe scordare che proprio con laforma breve o semibreve delle Novellefrancesi,già nel 2003 egli esordì. È d’altronde risaputo come lanormalità d’un narratore stia nel progressivo transitare da unoscrivere sobrio e condensato ad uno scrivere via via piùsofisticatamente articolato e complesso. Tuttavia non è da escludereche, una volta imboccata la strada del romanzo, uno scrittore nonpossa ritornare sui suoi primi passi, prediligendo una forma spessopiù incisiva e certamente più appagante, che nella sostanza risultameno impegnativa nello scrivere. Anche perché, nelle more di unestenuante impegno dedito al romanzo, non è detto che il medesimoscrittore non si possa sbizzarrire nella completezza di fulmineieventi scritturali fondanti il racconto. Dato incontrovertibile,fattuale ci fornisce la casistica, d’una più remota poietica, chetaluni brevi elaborati, pensati anche in epoca giovanile o in ognimodo in periodi lontani e/o altrimenti diversivi rispetto ad altri dicreatività romanzesca, possano essere stati accantonati come s’usadire “in un cassetto”. Ed è naturale che, prima o poi, si possapensare di rivederne sia la forma sia la trama, per darne alle stampeappunto una pubblicazione che solo apparentemente potrebbe esseregiudicata suigeneris.Ecco, credo che sia successo qualcosa d’analogo a LucianoMontanari. Perciò nessuna sorpresa dovrebbe giustappunto suscitarequest’ultima pubblicazione… ma al massimo, come s’èanticipato, un leggero spiazzamento.
Lapassione nutrita nei confronti del classicismo francese, unita aquella del melomane, da sempre dichiarate dal Montanari, sono anchequi evidenziate senza indugi o sotterfugi di sorta.
Proprioper questa intima, costante motivazione dell’autore, poteva forsemancare il simbolico esergo di Émile Zola?
Iltitolo del libro, peraltro ben in sintonia con la foto di copertina,emula con più defilato décalage,un luogo molto caro alla letteratura di Zola: l’osteria,recuperando l’immediata realizzazione del suo celeberrimoL’Assommoir.
Nell’insiemeil risultato è di fatto un delizioso, calibrato pastichecapace di far rifulgere molteplici sfaccettature tanto letterariequanto umane, nell’abbozzatura talvolta di caricature, genuine enel contempo originali.
Soprattuttoè la filosofia dell’esistenza, trafitta dalle impellenti,contingenti, talora paradossali ma nondimeno effettuali, cogenze che,nelle sue variabili sequenze ed apparenze (dicendola colpirandelliano piglio che meglio connota l’innata affezione delMontanari per l’Autore siciliano), quotidianamente costellanol’umano cammino.
Quantopesi e come sia bilanciata la vita terrena nell’esistenza dellapersona umana lo si evince, brano a brano, nello sfoglio dellevariegate (e purtuttavia, precisamente nell’altra, oppostadirezione che induce alla meditazione d’una onnicomprensivafilosofia dell’unum,omogenee) letture. È una danza enplein airinterpretata nell’intermittenza della metafora che denota a suavolta una continuità-discontinuità tra tempo e spazio: essere enon-essere si scontrano e si combinano nel momento delladisaggregazione dei sentimenti, dei ripensamenti, delle illusioni odelle fasi oniriche, siano esse parte d’un alienante sonno o d’unaconturbante analisi meditativa (“La fuga di Dario”; “Un ventodagli accenti amari” - «un vento inventato da un poeta?» -;“Marianna”; “Villa Alba” che, circoscritta in un’oasi dicielo, e come la medesima parola derivante dall’etimologia greca,«si cancellava, perdeva il suo potere»; “La camelia”, altrareminiscenza del classicismo francese di Dumas; “Lacrimed’argento”; “L’incatenamento delle cause”; “Lo specchio”;nonché il verdiano refrain “Quando la mia giornata è giunta asera”.
Laddovegli altri, non menzionati, racconti coltivano un più concreto,terragno culto della vita, aperto al ‘tutto-può-accadere’, apartire dall’imprevedibile e giungendo alla simmetrica spondadell’ineludibile.
Sediciracconti, in ultima, sommaria analisi, esplicativi d’altrettantiavvincenti romanzi. E, in definitiva, ciò è tutto dire!
EmilioDiedo - emiliodiedo@libero.it