DANTE E LA RIVOLUZIONE DELLE CERTEZZE DELLA LEGGE OVVERO DANTE ANTAGONISTA DELLE IDEE GIURIDICHE DEL SUO TEMPO

Negli Stati Uniti come dai noi si moltiplicano i corsi di studi in Law and Humanities e sono in aumento le pubblicazioni dedicati ai rapporti di Machiavelli e di Leopardi con la giurisprudenza e il diritto. Nel nostro Paese si sta affermando soprattutto in traduzione italiana lo splendido saggio dell'italianista americano Justin Steinberg che ha riscosso in originale un grande successo nel 2014: Dante e i confini del diritto. Si tratta di un testo che va oltre il discorso letterario per investire il problema della legge in Dante. Un problema che riveste un ruolo essenziale nell'opera dantesca, Non è un caso che il Sommo Poeta parli  nella Divina Commedia dei premi e delle punizioni comminate da un giudice supremo. Ciò nondimeno nella lettura dello studio statunitense si coglie un profilo sistematico della visione dantesca delle istituzioni giuridiche che il Poema mette in scena: circostanza di cui non ci si rende conto a prima vista. Il libro di Steinberg non pretende ovviamente di esaurire quanto di diritto ha scritto Dante(non poco, in realtà), ma cerca di farci ragionare sul modo in cui categorie e pratiche della scienza giuridica e della sua applicazione nel Medio Evo hanno aiutato Dante a costruire il proprio universo fantastico e ad organizzare gli incontri del suo viaggio ultraterreno (che evoca concetti giurisdizionali non di rado simili al Liber Scalae ovvero una descrizione esoterico-popolare islamico-andalusa del viaggio notturno di Maometto nell'aldilà dell'uomo). La condizione di infamia, l'arbitrio del giudice, l'instabilità del patto e le molteplici condizioni di privilegio sono scelte, dunque,  in primis, chiavi d'accesso all'immaginazione artistico-letteraria dantesca. C'è però un'altra considerazione che rende particolarmente interessante il caso di Dante: il modo "antagonista" con cui il Fiorentino si rapporta al sapere giuridico del suo tempo. Lo si coglie dalle schiere degli eletti e dei dannati che da un lato vedono puniti alcuni suoi  concittadini, tra quali persino il suo lodato maestro Brunetto Latini, e dall'altro, tra i salvati o premiati, si incontrano un pagano come Catone l'Uticense o un Bonconte di Montefeltro (non propriamente uno stinco di santo, però). Condannato dalla sua Firenze, Dante attende invano la sua riabilitazione postuma e la tensione  tra giustizia divina e diritto umano che segna tutta la Divina Commedia fa emergere la sua condizione di perseguitato politico. Senza voler nella circostanza entrare nel merito del pensiero giuridico dantesco od approfondirlo (magari ci ritorneremo in altra occasione) , va detto a chiare lettere che le considerazioni dell'autore d'Oltre Atlantico non proietta dante verso una modernità a cui Dante certamente non appartiene, ma ci spiega che esiste un articolato complesso di credenze medievali in cui dante non si riconosce: insomma, pur ponendosi in posizione critica radicale con il suo tempo, il Sommo Poeta non si riconosce ancora nei principi moderni che sono ancora in fieri all'epoca sua. La ricerca di Steinberg ci restituisce un Alighieri più isolato ed idioisincratico, ma anche assolutamente inatteso rispetto a quello conosciuto tramite gli studi tradizionali.
Casalino Pierluigi