E' on line l'ebook edizioni Asino Rosso di Ferrara (network Street Lib) , "Benedetto Croce non fa parte della mia biblioteca. Il duemila dopo il novecento aspaziale" di Pierfranco Bruni: scrittore, saggista, direttore archeologo (Etnie Mediterranee) per il Mibact (Ministero dei Beni Culturali). Così l'autosinossi del prestigioso scrittore e ricercatorehttp://www.mondadoristore.it/Benedetto-Croce-non-fa-parte-Pierfranco-Bruni/eai978882605987/, si veda anche Mondadori store :
"La metafisica che ho cercato si è intrecciata nella mia barba che cresce come i padri del deserto che camminano con la pazienza della luna nel grido di una preghiera che sempre mancherà al canto notturno di Leopardi che ha nel suo pianto la logica. Vivo di ARCANO. Ho sfogliato ancora UNA VOLTA il vocabolario del mio tempo, viaggiato lungo la grammatica dei simboli per guardare negli occhi il tempo sommerso che ha la memoria delle favole. Intanto la mia barba bianca mi regala anni in più. Ed è giusto così. Misteriosamente ribelle porto dentro di me l’Arcano. La Ragione assurda del tempo che passa e il Mistero segreto del viaggio di memorie".
Bruni, già candidato Nobel per la Letteratura 2015 e anche vicepresidente del Sindacato Libero Scrittori di Roma, presenta nello specifico una scansione florilegio minimo dei suoi "infiniti" saggi brevi di questi anni, di carattere storico e critico letterario e metapolitico, non ultimo psicologico esistenziale, come poi strutturato questo libro elettronico.
Sullo sfondo sempre certo quid peculiare dell'autore, controculturale e anche politicamente scorretto nell'archetipo italiano del Mediterraneo: si spazia da Pessoa a Pirandello a Pavese e Pasolini, a Oriana Fallaci e Ernst Nolte e lo stesso Nietzsche, al futurista Apollinaire, a D'Annuznio e - come dal titolo programmatico- al sopravvalutato tutt'oggi Benedetto Croce, al soprendente "Dante e i cantautori"!
Ulteriori sguardi diversi piu contemporanei spiccano, ad esempio su G. Barberi Squarotti e Cristina Campo, gli stessi Selvaggi e Francesco Grisi, in particolare, come accennato alla poetica nova dei cantautori, da L. Cohen agli italiani A. Branduardi, F. Califano, De Andrè, Bruno Lauzi, Luigi Tenco...
Una chicca infine (ma tra molto altro) proprio all'Ariosto celebrativo recente...
*dall'eBook:
Il mio Apollinaire di PIERFRANCO BRUNI
Il primo vero
contemporaneo nella poesia della magia (Centenario della morte).
Non è solo quello dei
Calligrammi.... il mio Apollinaire. Premessa! La sabbia di
Apollinaire è il sigillo tra il mio viaggio in anni ormai antichi
accanto a lui e ciò che di lui ho dimenticato e ricordato senza
riascoltare gli anni.
La poesia è sempre più
una visione alchemica. L’alchimia è dentro quei processi che noi
pensiamo che siano processi profondamente culturali ma che, alla base
della letteratura, convivono chiaramente con le dimensioni oniriche i
cui aspetti sono a volte incomprensibili, a volte soltanto
percettibili, a volte toccano quelle sfere chiaramente magiche. La
vita che muore nella vita è nel mio Apollinaire legato ad Ungaretti.
La poesia, soprattutto la
poesia, rientra in questa sfera della magia che ha come punto
centrale il dato “del non chiedere mai una risposta” e quindi “di
non fare mai una domanda”. È questo è il caso soprattutto di
quella poesia che ha segnato il legame tra “vita e arte”, tra
“opera d’arte ed esistenza”. Quando Guillaume Apollinaire
identifica la poesia con un dettato “magico”, vive, e fa vivere,
quella spinta indefinibile che è posta dal mistero.
La poesia magica,
alchemica, che non ha bisogno di laboratorio (questo è il punto
centrale) resta una poesia “dentro”, non la consapevolezza, ma
l’indefinibile versione di un concetto che non è filosofico ma è
indissolubile, comunque, dal punto di vista metaforico, allegorico, i
cui archetipi non si richiamano soltanto al mito, ma all’immaginario,
al sublime e, a volte, anche al senso dell’istrione.
Apollinaire nei suoi versi
“Oh Lou mio gran tesoro”:
“Oh Lou mio gran
tesoro
Facciamo dunque la magia
Di vivere amandoci
Da estranei
E castamente
Faremo viaggi
Vedremo luoghi
Tutti pieni della voluttà
Dei cieli d'estate”.
Facciamo dunque la magia
Di vivere amandoci
Da estranei
E castamente
Faremo viaggi
Vedremo luoghi
Tutti pieni della voluttà
Dei cieli d'estate”.
Ebbene, Apollinaire è
stato parte integrante di questo cammino. È stato parte integrante
di una cultura mediterranea, il cui canto fondamentale è stato “il
canto d’amore”. La sua recita costante, il suo richiamo alla
cultura e ai personaggi greci, al mondo mitico-simbolico greco, non
sono soltanto una fermezza, una sicurezza della cultura della
tradizione, perché Apollinaire nasce nella tradizione, ma poi
diventa il primo poeta che riesce a “rivoluzionare” il
linguaggio, che riesce a rivoluzionare la “tavola della parola”
tra un discorsivo futurista e uno discorsivo surrealista.
Con questo discorso noi
entriamo nelle solite categorie, ma Apollinaire non ha vissuto di
categorie, non è stato dentro le categorie, piuttosto ha
costantemente creato una parola “controcorrente”, se vogliamo
usare un termine forte, o meglio, una parola che è servita in quel
particolare momento a “rivoluzionare” un linguaggio, sia nel
paese in cui è vissuto, ma soprattutto nel contesto grande della
geografia francese.
Come si sa, egli era nato
a Roma, ma ha rivoluzionato il linguaggio universale che era quello
di confrontarsi con le esperienze che venivano da una testimonianza
in cui la “rottura degli schemi”, la “rottura della parola”,
trovava un incipit nuovo nel recitativo poetico. Ma Apollinaire è il
poeta della modernità, è il poeta che si radica nella
contemporaneità, è il poeta che distilla la parola fino a
inventarsi un nuovo modo di comunicare con il lettore e, comunicare
con il lettore per Apollinaire, ha significato soprattutto comunicare
inizialmente con se stesso perché la parola che non giunge alla
propria coscienza, alla propria anima e non la intriga, è difficile
che possa, secondo Apollinaire, trovare un punto di contatto
immediato con l’altro.
Ho utilizzato il termine
“immediato” perché la poesia non è laboratorio, non è
elaborazione in sé, non è improvvisazione, bensì immediatezza. È
questo il dato fondamentale di una poesia che rivoluziona il contesto
tardo-ottocentesco e del primo ’900. Apollinaire rivoluziona il
linguaggio e, facendo questo, dà un segno tangibile anche alle forme
e ai contenuti, a quelle forme e contenuti che sono fondamentali per
definire il senso di una letteratura che non ha bisogno di trovare un
nuova chiave di lettura per esercitare un nuovo “mestiere” di
esistere all’interno della letteratura, delle patrie lettere, della
cultura in senso più generale.
Apollinaire voleva
meravigliare, tant’è che il suo motto centrale che lo ha sempre
accompagnato era: “Io meraviglio”, vale a dire “Io vorrei
meravigliare”, e questa meraviglia nasce dal suo senso di ironia,
anche il suo ridere significava questo. Invitava gli altri a ridere
di sé. «Ridete di me», esortava Apollinaire «e poi cercate di
avere un po’ di pietà». Quindi, questa ironia e questa pietas
dentro Apollinaire, lo hanno reso come l’incisore profondo di una
poesia che ha stigmatizzato il linguaggio al quale stavamo andando
incontro che era quello di trasformare il linguaggio ottocentesco,
gradualmente, in un linguaggio piuttosto moderno.
Così “L’addio”:
“Ho colto d'erica un
rametto
L'autunno è morto non scordarlo
Non ci vedremo mai più sulla terra
Odor del tempo brullo rametto
E tu ricorda che t'aspetto”.
L'autunno è morto non scordarlo
Non ci vedremo mai più sulla terra
Odor del tempo brullo rametto
E tu ricorda che t'aspetto”.
Apollinaire non si serve
della moderazione, e quindi della gradualità del linguaggio o delle
fasi del linguaggio. Apollinaire, con la sua poesia e con i suoi
scritti anche in prosa, “scandalizza” immediatamente perché
vuole meravigliare e la sua operazione, l’operazione del ‘900, è
l’operazione ricca, viva del ‘900 poiché, senza Apollinaire, non
ci sarebbe stata una poesia ermetica in Italia, ma non solo in
Italia. Anche lo stesso Futurismo, forse, non avrebbe accelerato il
suo corso nell’immaginario come Futurismo e come Surrealismo.
a poesia di Apollinaire,
soprattutto la poesia, è immagine, pittura, colore, armonia e
disarmonia, intreccio, legamento di due caratteristiche fondamentali:
lo stile sul piano del linguaggio e il dettato lirico formale
contenutistico. Qui il dato forte che, ritengo, si possa enunciare
come “rinnovazione”.
I suoi calligrammi (I
suoi Poemi) sono, in fondo, questo superare il senso del formale e
andare “oltre”. È come se avesse la capacità di un mago, come
se avesse la capacità di fare della parola una “metamorfosi”,
perché soltanto chi porta dentro di sé l’alchimia, la magia, può
trasformare alcune forme del linguaggio in forma di espressione
immediata in cui l’espressione è già immagine, è già
immaginario, è già rottura di schemi per far parlare la parola di
un vocabolario di immagini, di icone. La poesia di Apollinaire è
immagine.
Da questo punto di vista,
credo che ci sia un dato concreto che si definisce proprio in questa
dimensione che potremmo anche chiamare “onirica”, ma che ha una
sua caratteristica di fondo in una letteratura che, se vogliamo, è
letteratura “provocazione”.
Su Apollinaire, Alberto
Bevilacqua ha scritto: «Apollinaire, anche come poeta e protagonista
del labirintico passaggio tra ‘800 e ‘900, si trovò a seguire,
lungo il suo cammino, una bussola impazzita che continuamente
indicava, alternandole, due direzioni opposte: il ritorno e la fuga
in avanti; la nostalgia genetica del passato e della tradizione, a
cui si contrapponeva l’ansia scenica dell’avventurarsi
nell’ignoto del futuro». Apollinare, dunque, assimila tutto questo
vissuto e intreccio. Certo, la sua esperienza d’infanzia, la sua
esperienza esistenziale, sono condizionanti perché ogni poeta porta
dentro di sé la propria esperienza umana.
Era nato a Roma il 26
agosto del 1880 e muore, a soli 38 anni, il 9 febbraio del 1918.
Muore molto giovane, ma questo non gli impedisce di lasciare, non una
traccia, bensì un solco abbastanza profondo, indissolubile, del
quale non si può fare a meno all’interno del contesto della
letteratura internazionale, e questa sua indissolubilità, come
linguaggio poetico e anche come prosa, deriva proprio da questi
raccordi esistenziali. A trovarlo quasi morto, accanto alla moglie, è
Ungaretti.
Se dovessimo oggi
indicare uno dei poeti maggiormente moderni che ha, in modo
particolare, cambiato la storia della letteratura, la storia della
poesia, non potremmo non indicare il nome di Apollinaire, questo è
un punto fermo. Un grande amante, Apollinaire, un uomo che ha amato
tanto, un uomo che è stato lacerato dagli amori, un uomo che ha
saputo amare, un uomo che ha fatto dell’amore un “canto poetico”
e della poesia un “canto dell’amore”, un recitativo dell’amore.
«Ho regalato tutto il sole, tutto meno la mia ombra». Ecco chi era
Apollinaire in un distico, perché si tratta di due versi in cui si
ha la possibilità di catturare un mondo, un mondo che non è solo
quello individuale del poeta, ma un mondo di emozioni, un mondo di
sensazioni, di sentimenti, di percezioni. In questi due versi c’è
tutta una cultura, che è quella della tradizione greca,
profondamente greca.
E su questo modello ha
costruito tutto il suo percorso letterario, il suo percorso
esistenziale. Certo, ha usato parole e vocabolario, come si diceva
prima, “scandaloso” per quei tempi, ma è stato proprio quel
vocabolario a spezzare le catene di una poesia rigorosamente
cattedratica, rigorosamente incentrata su delle regole ferme, fisse.
In Apollinaire c’era il segno della magia, il segno dell’alchimia.
In una poesia dal titolo “Il serpente”, recita: «T’accanisci
sulla beltà. Eva, Cleopatra ed Euridice, le altre tre o quattro che
il vento non dice; illustri vittime si sa, ha fatto la tua crudeltà».
Il serpente.
L’idea del serpente è
un’idea sciamanica, alchemica, magica. Ma, nei grandi poeti, il
mondo sciamanico è vivo, è veramente vivo. D’altronde,
Apollinaire era un sensitivo, ed essendo stato un sensitivo, la
percezione è dentro la parola perché la parola è dentro l’anima.
Questa è la sostanza metafisica del suo linguaggio. In un’altra
poesia di quattro versi dal titolo “La capra del Tibet”,
Apollinaire scrive: «I peli di questa capra, ma pure quelli d’oro
per cui penò Giasone così tanto, son niente al paragone della
chioma che sempre mi affattura».
Ecco, dunque, come questi
elementi sono elementi significativi e, continuando in questa
lettura, si insiste, da parte di Apollinaire, a trovare dei simboli
che sono “simboli” che rimandano a questa cultura sciamanica.
Vorrei citare altre due nuove poesie, ognuna di quattro versi, ma che
portano un titolo profondamente, prettamente simbolico. La prima è
“La tartaruga”. Così si legge: «Del magico trace, o delirio!
Con sicure dita tocca la lira. Sfilano gli animali ai suoni e il
carapace trasforma in canzoni».
Senza questo stimolo
sensitivo alchemico è normale che non ci sarebbe stato un
Apollinaire ricco di queste espressioni. La seconda poesia porta il
titolo “Il cavallo”. Due elementi simbolici vivi nella cultura
sciamanica, come il serpente che abbiamo visto precedentemente. «Ti
monterà il mio sogno arduo formale, mia sorte e in un aureo cocchio
un pettorale che avrà per briglie, tesi in frenesia, i miei versi,
esempi di poesia».
Siamo all’apice della
poesia non costruita, chiaramente “ad impatto” in cui l’immagine
prende il sopravvento sullo stesso modello linguistico, sulla stessa
versione semantica. L’immagine è un’immagine non virtuale, ma
reale; parlare della tartaruga, del cavallo, del serpente. Poi c’è
un’immagine semi virtuale che è quella delle poesie in cui si
parla del viaggio, del viaggiatore, e qui ci sono assonanze e
metafore che hanno il loro senso, la loro specificità e una
cesellatura che ha il senso, appunto, dell’allegoria.
Apollinaire resta tra la
ricerca di una religiosità, il vissuto alchemico e il disordine di
una poesia che cercava ordine, cercava la forza di reagire
all’inquietudine, non solo sua, ma del tempo nel quale si è
trovato a vivere una pazienza, una pacatezza, un modo di
riappacificarsi con una sua terribile infanzia, con il suo sentirsi
orfano e solo. La pagina della creatività diventa la passione della
creatività. Creare, attraverso la parola, le immagini perché,
creando le immagini, il poeta ricostruisce la propria esistenza, il
proprio esistere, il proprio quotidiano.
Anche negli Idiogrammi
lirici, nei calligrammi, Apollinaire vive l’appassionante camminata
dentro la creatività e non è un passaggio che resta lì in modo
dissolubile. Tutto questo, come ho già detto, diventa indissolubile.
Il poeta che ha segnato la novità del ‘900, si è aperto alla
modernità e ha dato un senso, un vocabolario alla contemporaneità.
È questo il vero Apollinaire e, in questo Apollinaire, c’è tutta
la magia del verso che ha la sua immediatezza, ma anche la capacità
di fissare l’immagine, l’immaginario, la fantasia come recupero
di una memoria e di un’identità del poeta attraverso la
quale si proietta, in un tempo incerto, in un tempo che soltanto un
poeta come Apollinaire poteva leggere sul piano profetico. Questo è
stato Apollinaire, questo resterà dentro la sua vita.
Nelle sue lettere a Lou,
(Geneviève-Marguerite-Marie-Louise de Pillot de Coligny-Châtillon,
chiamata con l’abbreviazione dio Lou), lettere straordinarie di una
grande liricità, di una grande chiarezza, dirà: «Ti amerò di un
amore nuovo». Questo è, dunque, il viaggio dentro la poesia di
Apollinaire. Un viaggio dentro l’amore, un viaggio dentro la parola
che ha una sua tradizione, un suo passato, ma che è sempre nuova,
come gli amori che diventano “amori amanti”, come gli amori che
diventano gioia, allegria, vita. Apoliinaiere aveva incontrato Lou a
Nizzam in una fumeria d’oppio, nella notte tra il 27 e 28 settembre
del 1914.
Poi: “Se morissi laggiù
sul fronte dell'armata /Tu piangeresti un giorno mia amatissima Lou/E
poi il ricordo di me si spegnerebbe come muore/Una granata che
esplode sul fronte dell'armata /Una bella granata simile alle mimose
in fiore //E poi quel ricordo esploso nello spazio /Coprirebbe col
mio sangue il mondo intero /Il mare i monti le valli e la stella che
passa /Mentre i soli meravigliosi maturerebbero nello spazio /Come
fanno le frutta dorate intorno a Baratier”.
Apollinaire è stato la
vitalità di una poesia che stava morendo. La sua Lou resta la vera
grande passione e la poesia che resiste anche al ricordo: “Ti bacio
mille volte su tutto il tuo corpo adorabile e sulla bocca attraverso
la quale tu mi hai donato la tua anima, quando io in cambio ti donavo
la mia”. Il primo vero contemporaneo nella poesia della magia!
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