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La storiografia araba delle Crociate



Sulle Crociate e sul loro significato storico ed economico è stato scritto molto e ancora si scrive in Occidente e nel mondo arabo-islamico. Il concetto delle Crociate come di un fenomeno storico a sé stante, con una sua articolata e spessa monografia o nel quadro di una generale periodizzazione della storia, è peraltro estranea alla storiografia musulmana. Tale estraneità deriva da una mancata e compiuta valutazione da parte araba fin dal tempo stesso di tale evento straordinario. La causa di questo errore da parte dell'Islam, nella valutazione di un fenomeno storico di cui esso fu dapprima vittima, poi tenace difensore, poi avversario accanito, e, infine, vincitore, sta soprattutto nell'indifferenza, nata da un complesso di sprezzante superiorità, con cui i musulmani guardarono sempre, salvo poche ed illuminate eccezioni, anche risalenti alla stessa epoca in questione, al mondo occidentale, alla sua storia e cultura medievale (e non solo), in contrasto con il così profondo interesse da essi manifestato verso le culture e le civiltà d'Oriente. Tale contrasto nel loro atteggiamento risulta assai chiaro paragonando la storiografia araba delle Crociate con quella musulmana in genere (in particolare quella persiana) sui Mongoli, che, venendo dall'altro capo del mondo, invasero il territorio dell'Islam nel XIII: avvenimento che resta nella coscienza collettiva arabo-islamica come un autentico "flagellum Dei", a causa dell'orribile e terribile devastazione che provocò con la sua occupazione e distruzione (un qualcosa che assomiglia molto alla sciagurata esperienza del cosiddetto Califfato dei nostri giorni, che nel nome di un Islam distorto, sta gettando la terra mesopotamica, culla della civiltà mondiale, in uno scenario di barbarie senza precedenti, superando gli stessi eccessi dei mongoli). Se l'invasione mongola fu raffigurata da cronisti attenti come un momento eccezionale e terribile e fu descritta con consapevole e intelligente analisi, le Crociate non trovarono analoga spiegazione critica: da un lato sottovalutandone la portata e non comprendendo a pieno il significato e la prospettiva storico-politica successiva., Uno ricerca deludente, quindi, che non andò mai oltre la curiosità, lasciando spazio ad interpretazioni non scientificamente esaurienti. Solo di recente gli studiosi arabi hanno cominciato (grazie ad una più specifica e profonda rilettura delle fonti originarie) a rivisitare quel periodo, rintracciandone motivi di più meditata analisi critica. Tale progressivo rovesciamento di pensiero si accentua, rilevando anche una miglior valutazione degli eventi in argomento. A questo proposito emergono quei difetti del "particulare" che Machiavelli individuò nella politica italiana del Rinascimento: e vale a dire gli scoraggianti comportamenti di emiri locali, che esultavano per le vittorie dei Franchi contro i loro vicini e correligionari e concorrenti. E persino Saladino, al quale spesso fu tributato un ossequio servile anche da parte dei suoi cortigiani (e non solo dagli storici contemporanei) mise l'accento sulla tenacia, lo spirito di sacrificio e il valore dei suoi avversari cristiani. Questa ritrovata obiettività andò però, di fatto, scemando in seguito all'affievolirsi dell'apologia delle vittorie musulmane. La riscoperta e lo studio di tali successioni resta comunque un fondamentale motivo di incoraggiante speranza accademica nel mondo islamico, il quale non può che sposare finalmente quel realismo critico della storiografia araba che promosse il massimo maestro di questa scienza che fu Ibn Khaldùn.
Casalino Pierluigi, 28.02.2015

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