a cura di Sandro Giovannini
In una simpatica cave-officina del centro-milano gestita dallo scrittore e docente Michelangelo Coviello si è parlato dell'ultimo libro di Raffaele Perrotta (Aracne), con testimonianza di scrittori ed artisti amici quali Adriano Accattino, Tomaso Kemeny, Luigi Ballerini, Filippo Parodi e tanti altri attenti e partecipi.
Perrotta dice subito che il suo è un Dicthung interruptus (ma non… Wahrheit) ovvero la presa d'atto lucida ma non sconfortata che il suo universo semiotico non rifiuta i significati a favore di significanti ma riconosce la via testuale, sia quella inequivocabilmente espressa, sia quella implicitamente inespressa e persino la potenziale esprimibile, come l'unico filo d'Arianna in nostro possesso per cercare d'appercepire prima e di praticare poi una via d'uscita dal labirinto della convenzionalità formale, all'orizzonte aperto…
Altre raffinate letture di scriventi simpatetici hanno accompagnato ancora questo introibo di Perrotta, sottolineando la sua grazia penetrante e mai sfibrata ed il suo rigore linguistico in una - diremmo noi, del tutto apparente - amodalità, quasi segno di una possibile lettura bipartisan, non certo utile, utilitaria od utilizzabile se non nella sua quanto mai esaltata/esaltante ricerca di rigore espressivo.
A noi pare la sua scrittura in costante circolarità avvolgente, amnioticamente significante per verba, e quindi anche ferocemente spiazzante, ma dotata sempre dell'umiltà intrinseca dell'accompagnare passo per passo e parola per parola nella sua infinita ri-costruzione, mai inutilmente creativa, il pensiero. L'inganno non sta quindi nella precisa e sinuosa parola e nel corrispondente articolato sintattico sorta di pozzo dell'essere/abgrund, ma proprio in quella medesima parola convenzionale a cui nel suo testo è barrata l'entrata… Quella parola che straripa da molti esaltati e/o depressi non è quindi la sua, sia pur una ben diversa esaltazione nasca nel lavacro del testo che impatta contro l'usurato/usurante in una sorta di battesimo pleromatico per immersione totale (quando veramente avvenga)… Nel suo dire complessivo - ma anche in ogni sua parte che si moltiplica con una feroce soavità di corrispondenza - si può rinvenire, come a me è sovente accaduto, vie di fuga, di salvezza, vie di ricostituzione. Comprensibilmente ciò non può risolversi senza un affidarsi preventivo ma contestualmente apregiudiziale (e questa è l'unica povera ragione di qualche nota a margine…), senza uno sgombero da rovine e macerie interpretative, e quindi da una convinta pulizia del cortile dell'anima unica possibile mise en abyme per praticanti di pratica dell'unica prassi credibile… di avvicinamento alla verità. Che non è certo messa in secondo piano dal perrotta/pensiero, ma dentro al suo stesso fluire, costantemente cartina di tornasole, agente… Lo sconcerto che imprigiona subito le anime piccole dentro il suo dire è ben riposto proprio nella sorpresa che non avviene, se non sulla faccia (il volto/vòlto…), nel rifiuto che tende a fluire sull'acqua sporca come residuo/rifiuto (transfert?) del disprezzo supposto, che c'è, eccome… ma è dall'autore riversato tutto contro la bassezza comunque declinata, così paludata come cialtrona, con una gentilezza senza tregua, che è poi quella dell'uomo…
Lo spaventoso equivoco speriamo ce lo confermi sempre in una meravigliosa solitudine di anime prime (…non per lui che certo meriterebbe ancor più quello che già gli appartiene ed è la sua e forse nostra aggettante pietra centrale dell'arco, punto di volta e di svolta…). Altre attenzioni e forse anche feroci avversioni, ma a viso aperto, e non nell'ombra incerta di coloro a cui appare sostanzialmente inutile, od allineato a vecchi modi o mode, nella rutilante caducità del provvisorio… od offensivamente elitario.
"…in un benedetto giorno arrivi a essere uno scrittore di una letteratura di grado superiore, rivelatrice storica, dal titolo generale impossibile a darsi per la complessità della scrittura perché scrivente la complessità della terra e degli altri microcosmi…".