Matteo Renzi: ora inizia la Rottamazione!

Renzi non ferma i proclami: "La rottamazione inizia ora"






Nel giorno del trionfo Renzi mette subito in chiaro che ha intenzione di mettere subito a frutto il risultato ottenuto, all'estero come in casa




Alla fine il miglior sondaggista di tutti, l'unico che ci avesse azzeccato e anche con larghissimo anticipo, si è rivelato lui, Matteo Renzi.









Che nell'ormai lontano 2012, quando era soltanto l'ostinato e un po' seccante outsider delle primarie, detestato dall'intero partito, predisse: «Il Pd che noi vogliamo può puntare al 40 per cento, il loro Pd se va bene arriva al 25%».

Lo coprirono di sberleffi, i suoi colleghi di partito.
E invece era azzeccata, praticamente al decimale: pochi mesi dopo, nel febbraio 2013, il Pd di Bersani superò di poco il 25%. Ieri il Pd di Renzi ha con disinvoltura raggiunto il 40%. «Oggi possiamo dire senza azzardi – chiosa il vicepresidente della Camera, il renziano Roberto Giachetti - che se un anno e mezzo fa avessimo fatto delle primarie davvero aperte Renzi le avrebbe vinte, e con Renzi candidato premier il risultato sarebbe stato ben diverso per il Pd e per il governo del paese».

Il premier però non si guarda indietro: nel giorno del trionfo mette subito in chiaro che ha intenzione di mettere subito a frutto il risultato ottenuto, all'estero («Matteo Renzi campione d'Europa», titolava ieri Le Monde, il Pd è primo nella Ue con quasi un milione di voti più della Cdu tedesca) come in casa. Dove avverte amici, alleati e oppositori: «Nei palazzi della politica nessuno ha più alibi: non c'è più spazio per rinviare le riforme. Ora ci sono tutte le condizioni perché questo Parlamento le faccia».

Alla conferenza stampa convocata ieri mattina a Palazzo Chigi Renzi si presenta fresco e disteso come uno appena rientrato dalle vacanze, senza più traccia del pallore degli ultimi, spasmodici giorni di campagna elettorale e persino dimagrito. Evita ogni trionfalismo («Non era un referendum su di me, né sul governo», giura, ben sapendo che il referendum c'è stato e lui lo ha stravinto), e usa accuratamente il «noi» per illustrare una vittoria che tutti sanno essere sua. «E certo – sottolinea con una punta di sarcasmo – noi del centrosinistra non siamo abituatissimi a vincere in questo modo». In ogni caso, la vittoria non segna la fine della rottamazione, anzi: «Direi che la rottamazione può iniziare ora», assicura.
Riforme a tutto gas, dunque: il primo segnale vorrebbe darlo sulla Pubblica amministrazione, trasformando in decreto immediatamente esecutivo una parte del ddl Madia. Ma è su quella istituzionale ed elettorale che mette subito l'accento: quella del Senato, da licenziare in fretta in prima lettura, per poi passare immediatamente all'Italicum. Sul quale Renzi dice di non aver cambiato affatto idea: va fatto e subito, tenendo fermi ballottaggio e premio di maggioranza che sono «l'unica garanzia che vi sia un vincitore certo» ma aprendo ad altre modifiche minori, da «condividere» con gli interlocutori, in testa Forza Italia.

Che secondo Renzi «resta un pezzo importante del Paese», e sarebbe andata anche meglio alle elezioni se «avesse difeso di più la sua scelta pro-riforme in campagna elettorale». Il Cavaliere gli risponde a stretto giro che Fi si conferma il «partner decisivo» per le riforme. «Se Berlusconi ci sta, e a questo punto ha tutto l'interesse a starci, l'Italicum si fa subito. Magari concedendogli l'abbassamento delle soglie per i partiti minori, che gli consentirebbe di creare una coalizione con Ncd, FdI e Lega», spiega un renziano. La minoranza scalpita: «Lo scenario è cambiato, non c'è più il bipolarismo: l'Italicum non conviene più al Pd», ragionano i bersaniani Gotor e D'Attorre. Ma nessuno nel Pd ha la forza per mettere il minimo bastone tra le ruote al leader del 40%. E in casa renziana già si ragiona di ricambio rapido delle presidenze dei gruppi, in particolare alla Camera: Matteo Richetti capo dei deputati, spostando il bersaniano Speranza alla presidenza del Pd.




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